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Attentato al mercato di Mahane Yehuda del 1997 attentato | |
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Tipo | Attacco suicida |
Data | 30 luglio 1997 13.15 circa |
Luogo | Gerusalemme |
Stato | ![]() |
Coordinate | 31°47′04.51″N 35°12′44.95″E |
Responsabili | rivendicato da Hamas[1] |
Conseguenze | |
Morti | 16 |
Feriti | 178 |
L'attentato al mercato di Mahane Yehuda del 1997 fu un attentato terroristico suicida perpetrato da militanti di Hamas[1] il 30 luglio 1997 nel mercato popolare di Mahane Yehuda a Gerusalemme in Israele. Sedici persone morirono ed altre 178 furono ferite[2].
Dopo l'assassinio di Yitzhak Rabin il 4 novembre 1995 e la nomina a primo ministro di Benjamin Netanyahu otto mesi dopo, gli Accordi di Oslo siglati nel 1993 furono di fatto accantonati[3]. A metà del 1997 l'amministrazione Clinton inviò il sottosegretario Thomas Pickering in Israele perché prendesse contatto con i leader israeliani e palestinesi per riprendere il processo di pace. Il 28 luglio - due giorni prima dell'attentato - autorità di entrambe le parti annunciarono che i negoziati basati sugli Accordi di Oslo sarebbero ripresi[4].
Mercoledì 30 luglio 1997 alle 13:15 circa, due palestinesi che trasportavano borse cariche di esplosivo e chiodi si fecero esplodere, quasi simultaneamente, a circa 45 metri di distanza l'uno dall'altro in una via centrale del mercato di Mahane Yehuda, uccidendo 16 persone - tra cui un cittadino arabo di Eilabun - e ferendone altre 178. Tra le vittime, tredici morirono all'istante, mentre altre furono trasportate all'ospedale e spirarono in seguito per le ferite riportate[2].
Il 4 settembre dello stesso anno, un nuovo attentato terroristico nella via poco distante di Ben Yehuda uccise cinque persone e ne ferì oltre 181[5].
Le seguenti persone morirono durante l'attentato:[2]
Un messaggio delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, lasciato fuori dagli uffici della Croce Rossa a Ramallah e subito trasmesso alle agenzie di tutto il mondo, rivendicava l'attentato e richiedeva il rilascio di tutti prigionieri palestinesi entro le 21 della domenica successiva, senza però specificare cosa sarebbe successo altrimenti[1][6][7]. Alcuni mettono in dubbio l'autenticità di questa rivendicazione, in quanto non sarebbe conforme allo stile di Hamas[1].
Secondo altri, tra cui Carmi Gillon (ex capo del servizio di sicurezza israeliano), l'attentato rispose alle precise intenzioni di Hamas di sabotare la ripresa dei processi di pace[8]; era infatti in programma per la settimana seguente la visita di Dennis Ross, inviato statunitense che avrebbe somministrato una serie di proposte alle due parti[4]. La visita fu cancellata[4]. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti Madeleine Albright visitò la regione in settembre[9].
Yasser Arafat telefonò a Netanyahu verso le 14:15 dello stesso giorno, per esprimere le proprie condoglianze. Quest'ultimo non accettò il gesto e affermò che Arafat stesso incoraggiava la violenza e non stava facendo abbastanza per combattere Hamas e il terrorismo islamico[1].
Netanyahu ordinò poi la chiusura delle frontiere con i territori sotto il controllo palestinese[4], l'oscuramento della radio Voice of Palestine accusata di incitare alla violenza[1] e l'arresto del capo della polizia palestinese, Ghazi Jabali, accusato anch'egli di incitare alla violenza[1].
Come rappresaglia a lungo termine per questo attentato il governo Israeliano decise di colpire i leader di Hamas. Secondo la stampa israeliana, agenti del Mossad tentarono di avvelenare il presidente Khaled Mesh'al, che al tempo risiedeva in Giordania[10]. Il tentativo di assassinio fallì e gli agenti del Mossad furono catturati dalle autorità giordane. Furono in seguito rilasciati in cambio della libertà di Ahmed Yassin, fondatore e leader spirituale di Hamas che stava scontando l'ergastolo in una prigione israeliana[11].