Dialetto tarantino

L'argomento Dialetto tarantino ha suscitato interesse e dibattito in diversi ambienti, da accademici ed esperti, alla gente comune. Questo argomento è stato oggetto di studi approfonditi, discussioni appassionate e riflessioni profonde in tutto il mondo. Nel corso del tempo, Dialetto tarantino è diventato parte integrante della società e ha svolto un ruolo cruciale nella vita di molte persone. Dal suo impatto sulla cultura e la storia, alla sua influenza sulla tecnologia e sulla scienza, Dialetto tarantino ha lasciato un segno indelebile nell'umanità. In questo articolo esploreremo i punti salienti e gli aspetti rilevanti di Dialetto tarantino e discuteremo la sua importanza nel contesto attuale.

Voce principale: Dialetti della Puglia.
Tarantino
Tarandíne
Parlato inItalia (bandiera) Italia
Regioni  Puglia (nella città di Taranto, Statte, Leporano, e Monteiasi)
Parlanti
Totalecirca 200.000
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Meridionale estremo
    Tarantino
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1
Tutte le crestiáne nàscene libbere, parapatte 'ndegnetáte e iusse. Tènene 'a rascióne e 'a cuscènze, e s'honne a ccumburtà l'une pe ll'ôtre accume a ffráte.

Copertina del Dizionario della Parlata Tarantina di Nicola Gigante

Il dialetto tarantino ('u tarandíne), o vernacolo cataldiano[1] (così chiamato, a partire dal Novecento, in onore del santo patrono cittadino), è un dialetto parlato principalmente nella città di Taranto (e con varietà specifiche in alcuni comuni limitrofi) dove presenta differenze tra la variante della Città Vecchia e quella del Borgo Nuovo[2]. Oggi è parlato anche nei comuni limitrofi di Statte e Leporano dalla maggioranza della popolazione[3], mentre a Monteiasi presenta caratteristiche più nettamente salentine. Dal punto di vista linguistico, il tarantino occupa una posizione di transizione tra i dialetti salentini (appartenenti al gruppo dei dialetti meridionali estremi) e quelli apulo-baresi (appartenenti al gruppo dei dialetti meridionali intermedi)[4][5][6]. La peculiarità del tarantino è stata spesso attribuita al suo sostrato greco, risalente all'antichità e mantenutosi fino al XVI secolo, quando il greco era ancora parlato accanto ai volgari romanzi nella zona[7][8]. Questo tratto accomuna il tarantino ai dialetti meridionali estremi (salentino, calabrese meridionale e siciliano), con cui condivide numerosi elementi lessicali e strutturali di origine greca[9][10]. Studi recenti hanno evidenziato come tali caratteristiche non siano semplici prestiti, ma veri e propri elementi strutturali originari dell'antica koinè magnogreca[11].

Storia

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Taranto.

Il dialetto tarantino rappresenta una varietà linguistica di particolare interesse nell'ambito dei dialetti meridionali, sviluppatosi attraverso un complesso processo di stratificazione storica. La sua evoluzione, iniziata con la romanizzazione del 272 a.C., si è svolta su un sostrato prelatino particolarmente ricco e articolato.

Le radici antiche

La grecità tarantina costituisce l'elemento più caratterizzante. A Taranto il greco - introdotto con la colonizzazione spartana del 706 a.C. - mantenne una vitalità straordinaria. Come attestano ad esempio De Vincentiis (1872)[12] e recenti studi di Ledgeway (2020)[13], questa persistenza ha lasciato tracce profonde non solo nel lessico (con centinaia di termini greci ancora oggi attestati in tutti i campi semantici), ma soprattutto nella struttura grammaticale, con peculiarità come la perdita dell'infinito e il particolare sistema di marcazione ipotetica che avvicinano il tarantino agli altri dialetti meridionali estremi. Esempi:

  • Oltre 700 termini greci in ambiti lessicali fondamentali (es. "apele" < άπαλος per "morbido", "'nànghe" < ανάγκη per "voglia")
  • Strutture sintattiche peculiari come la perdita dell'infinito (es. "vogghie cu mange" invece di "voglio mangiare")
  • Tratti fonetici come la riduzione del vocalismo (η > i, ω > u)

La latinizzazione e il periodo romano

Il processo di latinizzazione dell'area tarantina presentò caratteristiche particolari. Il latino volgare qui sviluppatosi conservò numerosi arcaismi. Contemporaneamente, come evidenziato ad esempio da Rohlfs e da Gigante (2002)[14], alcuni tratti fonetici, come il particolare trattamento delle vocali, tradiscono l'influsso del sostrato osco. Esempi:

  • Conservazione di arcaismi come la costruzione "scére + gerundio" (es. "scé mangiènne" per "sta mangiando") dal latino "ire iendo"
  • Tratti oschi nell'articolazione vocalica, responsabili delle successive dittongazioni (o > ue)

Il medioevo bizantino e il mito longobardo

Il periodo bizantino rappresentò per Taranto una nuova fase di ellenizzazione, seppur in forme diverse dall'epoca classica. Contrariamente a quanto spesso sostenuto nella letteratura tradizionale, le influenze longobarde furono marginali e limitate a pochi prestiti lessicali comuni a tutta l'area romanza[15]. Le caratteristiche dittongazioni tarantine, spesso erroneamente attribuite all'influsso germanico, trovano invece la loro spiegazione nel sostrato osco, come dimostrano i recenti studi di Loporcaro (2009)[16]. Esempi:

  • L'influsso longobardo fu limitato a pochi termini (es. "guerra", "faida")
  • Le dittongazioni (es. "muèrte" per "morto") derivano dal sostrato osco
  • Il greco bizantino arricchì ulteriormente il lessico (es. "zìmmere" < τσίμμαρο per "capra")

Dai Normanni all'età moderna

Con l'arrivo dei Normanni nell'XI secolo si avviò un lento processo di riallineamento del tarantino agli altri volgari meridionali. I successivi domini angioino, aragonese e spagnolo, oltre alla breve parentesi saracena, introdussero vari elementi arabi, galloromanzi e iberici, seppur in misura minore rispetto ad altre zone del Regno di Napoli. Esempi:

  • Prestiti normanni o francesi (es. "accattare" da achatter per "comprare")
  • Arabismi (es. "salamelìcche" da salam alaikum per "convenevoli essagerati")
  • Castiglianismi (es. "muntòne" da montòn per "mucchio")

L'età contemporanea

Il Novecento ha rappresentato per il tarantino un periodo di profonde trasformazioni. L'industrializzazione e i massicci flussi migratori interni hanno accelerato un processo di standardizzazione regionale, con una progressiva attenuazione dei tratti più marcatamente salentini che avevano caratterizzato il dialetto fino ai primi decenni del XX secolo[17][18][19][20]. Tuttavia, l'impronta greco-romanza più profonda continua a resistere nella struttura grammaticale e nel lessico di base

Classificazione

La complessa classificazione del tarantino

Negli ultimi due secoli, il dibattito sulla collocazione del tarantino ha diviso la linguistica meridionalista. La questione fondamentale è se considerarlo:

  1. Un dialetto alto-meridionale (gruppo "meridionale intermedio") con influenze salentine
  2. Un dialetto estremo-meridionale (gruppo "meridionale estremo") con peculiarità locali
  3. Una varietà autonoma all'interno di uno di questi due gruppi, data la sua unicità[21]

Le tesi alto-meridionali

Michele De Noto, nel pionieristico "Appunti di fonetica del dialetto di Taranto", fu il primo a notare divergenze fonetiche con il Salento[22]. Rosa Anna Greco ("Ricerca sul verbo nel dialetto tarentino")[23] e G.B. Mancarella ("Nuovi contributi per la storia della lingua a Taranto")[24] evidenziarono tratti comuni con l'area centro-meridionale, ad esempio:

  • Metafonia e dittongamento condizionato (es. 'nzóre, próche)
  • Sonorizzazione delle postnasali (-NT- > -nd-)
  • Sistema verbale con doppie desinenze (-àmme, -èmme)

Le tesi estremo-meridionali

Heinrich Lausberg[25], Gerhard Rohlfs[26][27] sostennero invece l'appartenenza al gruppo siciliano-salentino, notando, ad esempio:

  • Esiti vocalici aperti (cuèdde, strètte)
  • Uso della congiunzione "cu" + indicativo per l'infinito
  • Quasi 1000 grecismi condivisi col Salento

La prova decisiva: elementi estremo-meridionali profondi

Recenti studi dimostrano che il tarantino condivide con i dialetti estremo-meridionali tratti strutturali che secondo Thomason & Kaufman, ed altri autori già menzionati[28][29], appartengono al livello 4-5 della scala di borrowability (prestiti possibili solo in caso di bilinguismo prolungato o sostrato)[30]:

  1. Sintassi salentina:
  • Perdita dell'infinito ("vogghie cu vvóche" = voglio andare)
  • Doppia marcatura ipotetica ("ce avéve, te dáve" = se avessi, ti darei)
  • Costruzioni perifrastiche greco-salentine
  1. Prosodia grecanica:
  • Accentazione finale (come in griko)
  • Riduzione vocalica (η>i, ω>u)
  • Ritmo sillabico "a sforzo" e "prosodia magnogreca"[31][32]
  1. Lessico profondo:
  • Oltre 700 grecismi in domini "resistenti" (corpo, parentela, natura)
  • Calchi lessicali (es. "tremìndere" < θωρώ per "guardare")

Come dimostrano Ledgeway[33] e Fanciullo[34], questi elementi - specialmente la sintassi e la prosodia - rappresentano l'impronta digitale del bilinguismo greco-latino, marginale invece nel dialetto apulo-barese. La presenza di:

  • Prestiti strutturali di livello 5 (morfosintassi)
  • Grecismi in domini lessicali protetti
  • Tratti fonologici grecanici

Renderebbe impossibile classificare il tarantino come semplice variante alto-meridionale, un diasistema dialettale dove questi elementi sono virtualmente assenti. Piuttosto, come suggerisce Katsoyannou[35], va considerato un ponte linguistico tra i due gruppi, con una base estremo-meridionale arricchita da successivi apporti.

Conclusioni

Il dibattito rimane aperto, ma le evidenze di:

  1. Sostrato greco profondo (sintassi, prosodia)
  2. Lessico condiviso col Salento
  3. Tratti fonetici transizionali

...suggeriscono che la classificazione più accurata, se si prendono in considerazione tutti gli elementi del dialetto e non solo le isoglosse fonetiche, come nel lavoro di G.B. Pellegrini, sia quella di un dialetto estremo-meridionale con stratificazioni successive, piuttosto che come variante apulo-barese.

Predominanza dell'influenza della lingua greca nel dialetto tarantino secondo il Vocabolario dei dialetti salentini di Gerhard Rohlfs.

Nel Vocabolario dei dialetti salentini di Rohlfs si contano più di tredicimila voci latine, oltre ventiquattromila greche e circa trecentoquaranta tra spagnole, portoghesi, catalane, franco-provenzali, celtiche, còrse, germaniche, inglesi, turche, albanesi, dalmate, serbo-croate, rumene, ebraiche, berbere ed arabe. Le voci greche salgono al 64% del totale solo se includiamo tra le voci etimologiacamente greche anche i prestiti ed i calchi greci nella lingua latina.

Fonologia

Vocali

Oltre alle tipiche cinque vocali dell'italiano a e i o u, il dialetto tarantino ne conta anche altre cinque: é ed ó sono vocali chiuse, la á che ha un suono particolarmente chiuso, quasi semimuto, ed í e ú chiamate "vocali dure", poiché vengono pronunciate con una notevole vibrazione delle corde vocali; le vocali con accento acuto sono tutte lunghe ed hanno valore doppio rispetto a quelle italiane. Vi sono anche le vocali aperte è e ò (sempre brevi)[36] e le con accento circonflesso â ê î ô û[36] usate spesso (specie nel caso di ô) per segnalare la contrazione di una vocale con una consonante o un'altra vocale:

  • côre (cuore), dal latino cor, cordis, di cui non eredita la u di cuore italiano;
  • bbône (buona), dalla radice latina bonū-, di cui non eredita la u di buona italiano;
  • scè ô cìneme (andare al cinema), contrazione di a'u (a lu);
  • scenne' d'â màchene (scendere dall'auto), contrazione di da la.

Esiste inoltre un'altra vocale, la e muta (foneticamente equivalente allo scevà ə), la quale è sempre mutola in fine di parola e quasi sempre semimuta in posizione protonica[37]: una parola come perebìsse, quindi, andrà pronunciata come . Nel caso in cui la parola con e muta in fine di parola formi un nesso sintattico con la parola successiva, la vocale si sonorizza: marànge → maràngia pònde (arancia punta, guasta)[38]. I dittonghi sono pronunciati come in italiano, tranne che per ie che vale come una i lunga se si trova nel corpo di una parola, mentre se posta alla fine andrà pronunciata come una i molto veloce seguita da una e semimuta.

Consonanti

Le consonanti sono le stesse dell'italiano, con sole cinque aggiunte: c se si trova in posizione postonica tende ad essere pronunciata come sc in sciocco (es. dôce , fáce , ecc.), -j suffissale pronunciata come la y della parola inglese yellow, il nesso sck dove sc è pronunciato come nella parola italiana scena, la k come la c di casa, il nesso ije pronunciato più o meno come ille nella parola francese bouteille, e la v in posizione intervocalica che non ha alcun suono (es: avuandáre, tuve, ecc.). Le consonanti doppie sono molto frequenti in principio di parola[36] ed in posizione protonica.[39]

La dieresi

A causa del grande numero di omofoni presenti nel dialetto tarantino, a volte si è costretti a distinguerli per mezzo di un accento o di una dieresi[36]; quest'ultima viene adoperata soprattutto per indicare lo iato fra due consonanti, ad esempio:

  • fiúre (fiori), fïúre (figura);
  • pèsce (pesce), pésce (peggio), ecc.

Apocope e aferesi

L'apocope (la caduta di una vocale o di una sillaba in fine di parola), se riguarda le forme verbali, va segnalato mettendo l'apposito accento tonico; l'aferesi (la caduta di una vocale o di una sillaba in principio di parola) in tarantino va segnato mediante un apostrofo:

  • durmé(re) - durmè
  • addummanná(re) - addummannà
  • (u)mbriáche - 'mbriáche
  • (i)ndurtegghià(re) - ndurtegghià
  • insalata - (i)nzalata - 'nzaláte

Dissimilazione e assimilazione

La dissimilazione è un fenomeno per il quale due suoni, trovandosi a stretto contatto, tendono a differenziarsi:

  • lat. cultellus - tar. curtidde (coltello).

L'assimilazione si ha quando la consonante iniziale di una parola si muta nella consonante della seconda sillaba della parola stessa, in seguito ad un'anticipazione dell'articolazione fonetica di quest'ultima:

  • lat. juscellum - tar. sciuscidde (tipo di minestra).

Geminazione

Una particolarità che salta subito all'occhio di chi per la prima volta si trova a leggere un testo in dialetto tarantino, è il fenomeno della geminazione, o più semplicemente raddoppiamento iniziale o sintattico. Esso è un fenomeno di fonosintassi, ossia, a causa della perdita della consonante finale di alcuni monosillabi (assimilazione fonosintattica), la consonante iniziale della parola che segue viene rafforzata.

I principali monosillabi che danno luogo alla geminazione sono:

  • a: a (preposizione);
  • e: e (congiunzione);
  • cu: con (sia come congiunzione, sia come preposizione);
  • addà: lì, là (avverbio);
  • aqquà: qui, qua (avverbio);
  • ogne: ogni (aggettivo indefinito);
  • cchiù: più (aggettivo e avverbio);
  • pe: per (preposizione);
  • : è (verbo essere);
  • si': sei (verbo essere);
  • so': sono (verbo essere);
  • 'mbra: tra, fra (preposizione);
  • tre': tre (numerale).

Il raddoppiamento iniziale è indispensabile nella lingua orale per capire il significato della frase:

  • hé fatte bbuéne (hai fatto bene);
  • è ffatte bbuéne (è fatto bene).

Come si vede dall'esempio, il rafforzamento della f si rivela fondamentale per il senso dell'affermazione. Ecco altri esempi:

  • 'a máne (la mano) - a mmáne (a mano);
  • de pétre (di pietra) - cu ppétre (con pietra);
  • 'a cáse (la casa) - a ccáse (a casa).

Grammatica

Morfologia

Articoli e sostantivi

Il Vocabolario del dialetto tarantino di Domenico Ludovico de Vincentiis, magistrale opera del 1872, è oggi uno dei principali punti di riferimento per lo studio dell'evoluzione del vernacolo tarantino nell'ultimo secolo.

Il dialetto tarantino ha due generi, maschile e femminile. Avendo la terminazione in e muta, il genere delle parole è riconoscibile solamente tramite l'articolo, che in tarantino è 'u, 'a, le per il determinativo, e 'nu, 'na per l'indeterminativo.

Se il sostantivo che segue l'articolo comincia con una vocale, questo si apostrofa, a meno che esso non abbia una consonante iniziale precedentemente caduta:

  • l'acchiále (gli occhiali);
  • l'òmme (l'uomo);
  • 'n'àrvule (un albero);
  • le uáie (i guai);
  • lu uéve (il bue);
  • 'a uagnèdde (la ragazza).

Plurale e femminile

La formazione del plurale è assai complessa. Per molti sostantivi ed aggettivi esso non esiste, ossia rimangono invariati:

  • 'u livre (il libro) - le livre (i libri);
  • l'àrvule (l'albero) - l'àrvule (gli alberi).

Alcuni aggiungono il suffisso -ere:

  • 'a cáse (la casa) - le càsere (le case);

Altri cambiano la vocale tematica:

  • 'a fògghie (la foglia) - le fuègghie (le foglie);
  • 'u chiangóne (il macigno) - le chiangúne (i macigni);
  • 'u sciorge (il topo) - le sciurge (i topi)

Altri ancora tutti e due:

  • 'u pertúse (il buco) - le pertòsere (i buchi);
  • 'u paíse (il paese) - le pajèsere (i paesi);
  • l'anìdde (l'anello) - l'anèddere (gli anelli).

In ultimo vi sono i plurali irregolari:

  • 'u figghie (il figlio) - le fíle (i figli),

o sostantivi con doppia formazione:

  • 'a mulèdde (la mela) - le mulìdde o le mulèddere (le mele).

La formazione del femminile segue le stesse regole. Alcuni sostantivi e aggettivi rimangono invariati:

  • bèdde (bello) - bèdde (bella).

Altri cambiano il dittongo in o:

  • luènghe (lungo) - lònghe (lunga).

Pronomi

I pronomi dimostrativi sono:

  • quiste (questo)[40];
  • quèste (questa)[40];
  • chiste (questi[41], queste[42]);
  • quidde (quello)[40];
  • quèdde (quella)[40];
  • chidde (quelli, quelle)[43].

Più usate nel parlato sono le forme abbreviate: 'stu per quiste, 'sta per quèste, 'ste per chiste.

I pronomi personali sono:

persona soggetto atono tonico riflessivo
1a singolare ìe[44] me[45] méie[45] me[45]
2a singolare túne[46] te[47] téie[48]/téve[49] te[47]
3a singolare maschile iìdde[44] le[50] iìdde[44] se[51]
3a singolare femminile ièdde[44] le[50] jèdde[44] se[51]
1a plurale nùie/nu'[52] ne[53] nùie/nu'[52] ne[53]
2a plurale vùie/vù[54] ve[55] vùie/vù[54] ve[55]
3a plurale indistinto lóre[56] le[50] lóre[56] se[51]
impersonale se[51] -- -- se[51]

Se la forma dativa del pronome soggetto è seguita da un pronome oggetto, a differenza dell'italiano, la forma dativa si omette lasciando posto solo per il pronome oggetto:

  • 'u dìche cchiù ttarde (lo dico più tardi).

Volendo si può specificare il soggetto mediante l'aggiunta di un pronone personale:

  • a iìdde u dìche cchiù ttarde (a lui lo dico più tardi).

Per la "forma di cortesia", il tarantino adopera la forma allocutiva che, come avveniva a Roma, dà del tu a tutti indistintamente. Se proprio si vuole esprimere rispetto nei riguardi dell'interlocutore, si aggiunge l'aggettivo ussignorìe (deriv. di vu ssignorije), lasciando però sempre il verbo alla seconda persona singolare:

  • d'addò avíne (v)u ssignorìe? (Lei da dove viene?).

Quando il pronome riflessivo della prima persona plurale è seguito da pronome oggetto (in italiano reso con ce) e si trova alla forma negativa, esso diviene no 'nge in dialetto tarantino:

  • nù non ge ne sciáme (noi non ce ne andiamo).

I pronomi relativi sono:

  • ci[57], ce[58] (chi);
  • ca[59] (il quale, la quale, i quali, le quali, di cui, a cui).

Per esempio:

  • ci sì tu? (chi sei?);
  • 'a cristiáne c'agghie viste aiére (la signora la quale ho visto ieri);
  • le libbre ca m'hé parláte (i libri di cui mi hai parlato).

Aggettivi

Gli aggettivi possessivi sono:

persona maschile singolare femminile singolare plurale indistinto forma enclitica
1a singolare míe[60] méie[45] míje[60] -me[45]
2a singolare túie[61], túve[62] tóie[63], tóve[64] túje[61], túve[62] -te[47]
3a singolare súve[65] sóve[66] súve[65] -se[51]
1a plurale nuèstre[52] nòstre[42] nuèstre[52] -
2a plurale vuèstre[67] vòstre[42] vuèstre[67] -
3a plurale lòre[56] lòre[56] lòre[56] -se[51]

In dialetto tarantino l'aggettivo possessivo va sempre posto dopo il nome al quale si riferisce[68]:

  • 'a màchena méie (la mia automobile).

Altra caratteristica di questo dialetto è anche la forma enclitica del possessivo tramite suffissi, che però è limitata solamente alle persone:

  • attàneme (mio padre);
  • màmete (tua madre);
  • sòrese (sua sorella),

e via di seguito.

Preposizioni

Le preposizioni semplici sono:

  • de (di);
  • a (a);
  • da (da);
  • iìndre/inde (in);
  • cu (con);
  • suse/sobbre (su);
  • pe (per);
  • 'mbrà (tra, fra).

Possono fare anche da preposizioni:

  • sotte/abbàsce (sotto, giù);

Le preposizioni articolate sono:

  'u 'a le
de de 'u (d'u) de 'a (d'a) de le
a a 'u (ô) a 'a (â) a lle
da da ô (d'ô) da 'a (d'â) da le
iìndre (cfr. lat. intra) iìndre ô (iìndr'ô) iìndre a (iìndr'a) iìndre le, iìndre a (iìndr'a) lle
cu cu 'u (c'u) cu 'a (c'a) cu lle
suse suse ô (sus'ô) suse a (sus'a) suse le, suse a (sus'a) lle
pe pe 'u (p'u) pe 'a (p'a) pe lle

ca e cu

ca (lat. quia) può avere valore di:

  • preposizione relativa: vóche a 'ccàtte 'u prime ca jacchie (vado a comprare il primo che trovo);
  • congiunzione:
    1. nella proposizione dichiarativa: sacce ca jé 'nu bbuéne uagnone (so che è un bravo ragazzo)[69];
    2. nelle proposizione consecutiva: áve ca no 'nge 'u véche (è da tanto che non lo vedo)[69];
  • introdurre il secondo termine di paragone: jéve cchiù 'a fòdde ca 'u rèste (era più la folla che il resto).

Cu (lat. quod) può avere valore di:

  • preposizione: tagghiáre c'u curtídde (tagliare col coltello);
  • congiunzione (con);
  • dopo i verbi che esprimono un desiderio o un ordine: vóle cu mmange (vuole mangiare)[69][70];
  • per formare il congiuntivo presente: cu avéne aqquà (che venga qui);
  • nella forma avversativa: cu tutte ca (con tutto che)[70];
  • nelle proposizioni finali: vuléve cu éve cchiù drìtte (avrei voluto essere più in gamba)[69];
  • nelle proposizioni concessive: avàste cu ppaje (basta che paghi)[69];
  • come presente perifrastico: sté cu avéne (sta per venire)[69].

Il partitivo in tarantino non esiste, e per tradurlo vengono adoperate due forme[68]:

  • 'nu picche (un poco);
  • dóje (due).

Per esempio:

  • pozze ave' nu pìcche de marange? (potrei avere delle arance?);
  • ajére hagghie accattáte ddo' mulèddere (ieri ho comprato due mele).

Accusativo e vocativo

Dei vecchi casi grammaticali, il dialetto tarantino ha mantenuto nella sua forma moderna soltanto l'accusativo e il vocativo. Come per altre lingue dell'area mediterranea, l'accusativo in tarantino viene segnalato mediante l'intercalare della preposizione a solo se si tratta di persone[71]:

  • Addummànnele a ffratte (chiedilo a tuo fratello)
  • Hé chiamate ô dottore? (hai chiamato il medico?)
  • Puèrtete a Marìe (portati a Maria)

Il caso vocativo, in linea con molti dialetti meridionali, è probabilmente il più utilizzato dal tarantino. Esso può affliggere ogni parte del discorso, nomi, aggettivi e avverbi. Il vocativo si forma apocopando la parola all'ultima sillaba tonica:

  • Faiéle (Raffaele), voc. Faié
  • Cungétte (Concetta), voc. Cungé
  • stuédeche (sciocco), voc. stué (molto usato ué facce de stué, stupido)
  • zurlére (donna attaccabrighe), voc. zurlé
  • cumbáre (compagno, amico), voc. cumbà
  • angóre (ancòra), voc. angó
  • ména (dai, escl.), voc.

In dialetto tarantino, il vocativo viene utilizzato sia per esprimere il complemento di vocazione sia per enfatizzare una parte del discorso o per esprimere uno stato d'animo di impazienza o di irritazione:

Hé sciute, pò, ô cìneme Frangè? Alla fine sei andato al cinema, Francesco?

None Marì Non ancora, Maria.

Angó? E mé, quanne ha a scè? Ancora? (esprime incredulità) Suvvia (esortazione), quando ci andrai?

In base al grado di impazienza o di esortazione che si vuole esprimere, talvolta è possibile retrocedere le sillabe da apocopare:

  • Frangèsche > Frangè > Frà
  • Benedetta > Benedè >

Verbi

Il sistema verbale tarantino è molto complesso e differente da quello italiano.

I verbi principali e le loro declinazioni all'indicativo presente sono:

  • essere (non come ausiliare): sonde/so' , sinde/si' , (o è o éte), síme, síte, sonde/so' ;
  • avere (anche in luogo di dovere): agghie, , ha, ame/avíme, avíte, honne;
  • stare: stóche, stéje/ste' , stéje/ste' , stame, state, stonne;
  • andare: vóche, véje/ve' , véje/ve' , sciame, sciate, vonne;
  • tenere (in senso di possesso): tènghe, tine, téne, teníme, teníte, ténene;
  • fare: fazze, fáce, fáce, facíme, facíte, fàcene.

Caratteristica tipica è l'uso frequente della prostesi della vocale -a-, che porta ad una doppia forma verbale[68][72]:

  • cògghiere e accògghiere (raccogliere);
  • 'ndruppecáre e attruppecáre (inciampare).

Vi è anche la presenza del suffisso incoativo -èsce derivato dall'antico -ire[73]:

  • durmèscere (dormire);
  • sparèscere (sparire);
  • scurèscere (imbrunire).

È molto diffusa l'alternanza vocalica tra i verbi della prima coniugazione, dovuto alla metafonia. Essi sono soggetti al dittongamento dell'ultima vocale tematica (-o- in -ué-). Per esempio[73][74]:

  • sciucare (giocare): ije scioche, tu sciuéche, jidde scioche, nu' sciucame, vu' sciucate, lore sciòchene;
  • annegghiare (scomparire): ije annigghie, tu annigghie, jidde annigghie, nu' annegghiame, vu' annegghiate, lore annighiane.

I verbi della seconda coniugazione, esitano la o in u[74]:

  • còsere (cucire): ije cóse, tu cúse, jidde cóse, nu' cusime, vu' cusite, lore còsene;
  • canòscere (conoscere): ije canòsche, tu canùsce, jidde canòsce, nu' canuscime, vu' canuscite, lore canòscene.

I verbi servili

  • scére (andare): Il principale verbo servile è usato molto spesso in frasi interrogative e negative.

Coniugazioni

Il tarantino ha due coniugazioni, una in -are, la più ricca, ed una in -ere (derivante dalla latina -ire).[68]

Modo infinito

L'infinito dei verbi è reso, specialmente nel parlato informale, mediante l'apocope delle forme cosiddette "da dizionario":

  • addumannà da addumannare (chiedere);
  • canòsce' da canòscere(conoscere).

In tarantino l'infinito viene perso in quasi tutte le costruzioni verbali, eccetto quelle con potere e dovere, essendo sostituito da cu seguito dall'indicativo presente, come nel greco[69]

  • te vògghie cu ddiche (voglio dirti);
  • dille cu avéne (digli di venire).

Modo indicativo

Le desinenze per formare l'indicativo presente sono le seguenti[73]:

  • prima coniugazione: -e, -e, -e, -áme, -áte, -ene;
  • seconda coniugazione: -e, -e, -e, -íme, -íte, -ene.

A differenza degli altri dialetti pugliesi, nel tarantino non compare la desinenza -che per le prime persone. Questa desinenza è usata però per i verbi monosillabici:

  • vóche (vado);
  • véche (vedo);
  • stóche (sto).

Il presente continuato in tarantino si forma con l'indicativo presente del verbo stare + preposizione a + indicativo presente del verbo[75]:

  • stóche a ffazze (sto facendo).
  • stonne a sciòchene (stanno giocando)

Fanno eccezione a questa regola la seconda e la terza persona singolare, le quali non richiedono l'uso della preposizione a:

  • sté studie (sta studiando);
  • sté mmange (sta mangiando).

Nell'imperfetto troviamo le seguenti desinenze[73]:

  • prima coniugazione: -áve, -áve, -áve, -àmme, -àveve (-àvve), -àvene;
  • seconda coniugazione: -éve, -íve, -éve, -èmme, -ìvene (-ìvve), -èvene.

Per il tempo perfetto le desinenze sono[75]:

  • prima coniugazione: -éve, -àste, -óie, -àmme, -àste, -àrene;
  • seconda coniugazione: -íve, -ìste, -ie, -èmme, -ìste, -èrene.

In dialetto tarantino non esiste una forma univerbale di futuro, che perciò viene spesso sostituito dal presente indicativo oppure viene espresso mediante la perifrasi futurale derivata dal latino habeo ab/de + infinito, caratteristica questa che è comune ad altre lingue, tra cui la lingua sarda:

  • agghie da ccundà o agghi'a ccundà (racconterò).

Questo costrutto è usato anche per esprimere il senso di necessità:

  • Ce amme a ffa'? (cosa dobbiamo fare?).

Modo congiuntivo

Il congiuntivo presente ha tutta una sua forma particolare, tipica poi dei dialetti salentini; si rende con la congiunzione cu seguita dal presente indicativo[69][70]:

  • Dille cu avènene cu nnuje! (digli che vengano con noi!).

Al contrario, il congiuntivo imperfetto ha delle desinenze proprie[75]:

  • prima coniugazione: -àsse, -àsse, -àsse, -àmme, -àste, -àssere;
  • seconda coniugazione: -ìsse, -ìsse, -èsse, -èmme, -ìste, -èssere.

Modo condizionale

Altro tempo verbale inesistente è il condizionale, sostituito dall'imperfetto indicativo o dall'imperfetto del congiuntivo[75]:

  • vuléve scè ô cìneme (vorrei andare al cinema);
  • vulìsse venè pure ie (vorrei venire anche io).

Modo imperativo

L' imperativo è generalmente uguale alla corrispondente persona dell'indicativo presente[75]:

  • tremìende! (guarda!),
  • sciáme! (andiamo!),
  • avenìte! (venite!).

La formazione dell'imperativo negativo è già più complicata: si ottiene mediante la circonlocuzione verbale con scére + gerundio (dal latino ire iendo)[75]:

  • no sce scènne a scôle ôsce (non andare a scuola oggi).

Modo gerundio

Il gerundio si ottiene aggiungendo la desinenza -ànne per i verbi del primo gruppo, e -ènne per i verbi del secondo:

  • 'nghianànne (salendo),
  • fuscènne (correndo).

A volte per tradurre il gerundio si fa ricorso ad una preposizione relativa:

  • hagghie vìste u film ca sté mangiáve (ho visto il film mangiando).

Modo participio

Il participio passato è formato con l'aggiunta del suffisso -áte per i verbi appartenenti al primo gruppo, e del suffisso -úte per i verbi appartenenti al secondo. Tuttavia vi sono anche participi passati uscenti in -ste, di derivazione latina[75]:

  • candate da candare (cantato),
  • partute da partere (partito),
  • viste da vedere (visto),
  • puèste da ponere (posto),
  • rumàste da rumanere (rimasto).

Essere[76]

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persona Indicativo presente Imperfetto Perfetto Congiuntivo presente Congiuntivo imperfetto
Ije sonde/so' ére fuéve cu ssìe fòsse
Tune/Tu sinde/si' ìre fuìste cu ssíje fuèsse
Jidde, Jédde jè, éte[77] ére, jéve[78] fu' cu ssìje fòsse
Nuje síme èreme fuèmme cu síme fòsseme
Vuje síte íreve fuésteve cu ssíte fuésseve
Lóre sonde/so' èrene, jèvene[78] fùrene cu ssíene fòssere

Avere[79]

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persona Indicativo presente Imperfetto Perfetto Congiuntivo presente Congiuntivo imperfetto
Ije hagghie avéve avìbbe cu hagghie avìsse
Tune/Tu avíve avìste cu hagghie avìsse
Jidde, Jèdde ha/have avéve aví cu hagghie avèsse
Nuje ame avèveme avèmme cu avìme avìsseme
Vuje avíte avìveve avìsteve cu avíte avìsseve
Lóre honne/avene[77] avèvene avèrene cu honne avèssere

Variazioni ortografiche

Non avendo una regolamentazione ufficiale prima della pubblicazione del Dizionario della Parlata Tarantina, il vernacolo tarantino presenta alcune variazioni ortografiche riscontrabili per lo più in autori di vecchia data. Le più note sono l'uso di ij al posto del dittongo lungo ie (arrajamiende > arrajamijnde, niende > nijnde, ecc.), come hanno adoperato autori come Tommaso Gentile, Gigi Vellucci e Claudio De Cuia, la coniugazione del verbo avere senza h (hagghie > agghie) tuttavia da considerarsi errata poiché tale coniugazione deriva direttamente dalla forma latina habeo e quindi necessita di h altresì per distinguere la prima persona singolare da agghie (aglio), l'uso esclusivo dell'accento grave (errore probabilmente attribuito ad un fattore di comodità tipografica), l'uso più o meno ampio dell'accento circonflesso per indicare la contrazione vocalica, le segnalazioni di apocopi e aferesi (totalmente assenti in autori come il Gentile, mentre in autori come Cosimo Acquaviva vengono ancora adoperate le forme non apocopate degli articoli determinativi lu e la) e la mancata sonorizzazione delle occlusive nasalizzate (tali mancanze sono dovute al fatto che il dialetto di Taranto, prima della massiccia industrializzazione e quindi del crescere della sua popolazione grazie ai flussi migratori di lavoratori, presentava una sonorità molto più vicina ai dialetti salentini di quanto non lo sia oggi).

Esempi

Note

  1. ^ N. Gigante (2002), Dizionario della parlata Tarantina
  2. ^ G. Rohlfs, Scavi Linguistici nella Magna Grecia, (1975), Congedo
  3. ^ Dati ISTAT (2011), Diffusione dei dialetti locali in Puglia
  4. ^ Rohlfs, G. (1977), Grammatica storica dei dialetti italogreci. Beck
  5. ^ Savoia, L.M. (2017), I dialetti italiani: storia e struttura. Il Mulino
  6. ^ Pellegrini, G.B. (1977). Carta dei dialetti italiani. Pacini Editore
  7. ^ Horrocks, G. (2010), Greek: A History of the Language and its Speakers. Wiley-Blackwell.
  8. ^ Katsoyannou, M. (2015), The Greek Linguistic Heritage in Southern Italy. Byzantine and Modern Greek Studies.
  9. ^ Ledgeway, A. (2020), Greek and Romance in Southern Italy: History and Contact. Oxford University Press
  10. ^ Rohlfs, G. (1956), Vocabolario dei dialetti salentini
  11. ^ De Angelis, A. (2017), Microvariation in Southern Italo-Romance. Mouton de Gruyter
  12. ^ De Vincentiis, D.L. (1872). Vocabolario del dialetto tarantino, p.145
  13. ^ Ledgeway, A. (2020). Greek and Romance in Southern Italy, Oxford, p.189
  14. ^ Gigante (2002), p. V
  15. ^ Fanciullo, F. (1996). Fra Oriente e Occidente: per una storia linguistica dell'Italia meridionale, p. 132, 135
  16. ^ Loporcaro, M. (2009). Profilo linguistico dei dialetti italiani. Laterza, p. 178, 181, 183
  17. ^ Savoia, L.M. (2017). I dialetti italiani: storia e struttura. Il Mulino, p. 304
  18. ^ Loporcaro, M. (2009). Profilo linguistico dei dialetti italiani. Laterza, p. 291
  19. ^ De Angelis, A. (2019). "Dialetto e identità a Taranto". Rivista Italiana di Dialettologia 43: 89-114
  20. ^ Archivio Comunale di Taranto, Fondo Demografico (1951-1971)
  21. ^ Loporcaro, M. (2009). Profilo linguistico dei dialetti italiani. Laterza, p. 152-155
  22. ^ De Noto, M. (1897). Appunti di fonetica sul dialetto di Taranto (vocalismo e consonantismo). Trani: V. Vecchi. 39 pp
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  25. ^ Loporcaro (2009) in Profilo linguistico dei dialetti italiani, p. 159
  26. ^ Rohlfs, G. (1977) Grammatica storica dei dialetti italogreci. Beck, p. 203
  27. ^ De Angelis (2017) in Microvariation in Southern Italo-Romance, p. 114
  28. ^ Ledgeway (2020), p. 401
  29. ^ Katsoyannou (2015), cit. 4
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  31. ^ Rohlfs (1977), p.210
  32. ^ Fanciullo (1996), cap. 3
  33. ^ Ledgeway (2020), p. 187-215
  34. ^ Fanciullo (1996), p. 90-110, 132-135
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  80. ^ Claudio De Cuia, U Mbiérne de Dande, Editrice Tarentum, Taranto, 1976.
  81. ^ Enrico Vetrò, Il dialetto Tarantino: una favola ancestrale (PDF), su aristosseno2.altervista.org.

Bibliografia

  • Rosa Anna Greco - Ricerca sul verbo nel dialetto tarentino (dalla rivista Studi Linguistici Salentini volume VI) - Congedo Editore - Galatina, 1973
  • Paolo De Stefano - Saggi e ritratti di cultura ionica - Scorpione Editrice - Taranto, 1985
  • Giancinto Peluso - Ajère e ôsce. Alle radici del dialetto tarantino - Edizioni Bnd - Bari, 1985
  • Nicola Gigante - Dizionario critico etimologico del dialetto tarantino - Piero Lacaita Editore - Manduria, 1986
  • Nicola Gigante - Dizionario della parlata tarantina. Storico critico etimologico - Mandese Editore - Taranto, 2002
  • Claudio De Cuia - Vocali e consonanti nel dialetto tarantino - Mandese Editore - Taranto, 2003
  • Campanini - Carboni - Il dizionario della lingua e della civiltà latina - Paravia - Torino, 2007
  • Gerhard Rohlfs - La perdita dell'infinito nelle lingue balcaniche e nell'Italia meridionale in Omagiu lui Jordan - Sofia, 1958
  • G. Rohlfs 1933, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Congedo
  • Rohlfs, G. (1977). "Grammatica storica dei dialetti italogreci". Beck.
  • Cosimo Acquaviva - Taranto... Tarantina - Taranto, 1931
  • Domenico Ludovico De Vincentiis - Vocabolario del dialetto tarantino in corrispondenza della lingua italiana - Ristampa anastatica edizione di Taranto del 1872 - Arnaldo Forni Editore - Sala Bolognese, 1977.
  • Claudio de Cuia - Detti interdetti - Scorpione editrice, Taranto 2004
  • Fanciullo, F. (1996). "Fra Oriente e Occidente: per una storia linguistica dell'Italia meridionale". Pacini Editore.
  • Loporcaro, M. (2009). "Profilo linguistico dei dialetti italiani". Laterza.
  • Ledgeway, A. (2020). Greek and Romance in Southern Italy
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  • Horrocks, G. (2010). "Greek: A History of the Language and its Speakers". Wiley-Blackwell
  • Savoia, L.M. (2017). "I dialetti italiani: storia e struttura". Il Mulino.

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