Questo articolo affronterà l'argomento Walter Fillak, che è diventato molto attuale oggi. Dalle sue origini fino alle sue implicazioni nella società odierna, Walter Fillak è stato oggetto di studio e dibattito in diversi ambiti. Nel corso della storia, Walter Fillak ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'umanità, influenzando la cultura, la politica, l'economia e la vita quotidiana delle persone. Attraverso un'analisi dettagliata, verranno esplorate le diverse sfaccettature di Walter Fillak, la sua importanza nel contesto attuale e il suo impatto nel futuro.
Walter Fillak nacque a Torino il 10 giugno 1920, da Ferruccio Fillak (morto nel febbraio 1972), ingegnere austro-ungarico nato a Gorizia, e Maria Aimo, italiana. Con la sorella più giovane Liliana, crebbe a Genova, iniziando gli studi al Regio Istituto tecnico Vittorio Emanuele III di Sampierdarena[3] e proseguendo poi al Liceo scientifico Gian Domenico Cassini, dove fu compagno anche di Giorgio Issel. Nell'aprile 1938 fu sospeso dal consiglio scolastico per aver scritto un tema in cui si diceva sfavorevole al coinvolgimento dell'Italia nella Guerra civile spagnola, indicando il comunismo come il futuro e il fascismo come il passato.[3][4][5][6] Il preside del liceo inviò una comunicazione formale ai genitori (7 aprile 1938, protocollo n. 404), motivando così la punizione disciplinare:
«Il consiglio ha deliberato di sospenderlo fino al termine delle lezioni del corrente anno scolastico, tenuto conto del carattere e della irriflessività giovanili dell'alunno più che del valore oggettivo delle sue affermazioni non consone allo spirito d'un giovane fascista»
Fra il 1940 e il 1941 fondò il "Comitato centrale", nucleo comunista studentesco formato da Fillak, Buranello, Pinetti, Vignolo, Galeazzo, Paoletti, Guerra e Bussoli.[6] Chiamato al servizio di leva obbligatorio nell'agosto 1942, fu inquadrato nel 36º Reggimento Artiglieria di Fossano. L'11 ottobre 1942, rientrato a Genova in licenza, fu arrestato dall'OVRA insieme con Buranello e gli altri membri della cellula comunista genovese, deferito al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato,[9] e quindi recluso come detenuto politico dapprima nel Carcere di Marassi, poi nella Casa di reclusione per delinquenti abituali e professionali di Apuania (istituita nel dicembre 1938 dal Ministro di grazia e giustiziaArrigo Solmi[10]), e infine trasferito al carcere di Regina Coeli.[5][11] Durante questo periodo si fece inviare decine di libri dalla famiglia ed ebbe con essa un intenso scambio epistolare, pubblicato in libro nel 1975, nel quale discorse ampiamente col padre - seppur limitato dai pochi mezzi per comunicare - di filosofia, letteratura e politica, ma anche degli aspetti più monotoni e pratici della detenzione e della vita famigliare, mantenendo per tutto il periodo un tono ironico e ottimista.[5]
Tornato in libertà il 31 agosto 1943 a causa della caduta del regime, entrò nei Gruppi di Azione Patriottica genovesi e nella resistenza partigiana col nome di battaglia di Gennaio.[7] Le azioni dei Gap di Fillak e Buranello furono ampie e complesse, passando dalla distribuzione di materiale clandestino antifascista, alle azioni di sabotaggio, dalla protezione durante gli scioperi, sino alle azioni di guerriglia e giustizia sommaria verso il nemico. A tal proposito, il compagno Andrea Elio Scano, interrogato anni dopo, riassunse scarnamente le attività più crude, nelle quali comunque non sempre Fillak fu coinvolto:[12]
«Il 28 ottobre attaccammo la caserma dei fascisti di S. P. D'Arena giustiziando due fascisti; nel mese di dicembre, io, Walter Fillak e Buranello, giustiziammo una spia dell'Ansaldo. Il giorno dell'anniversario di Balilla, sempre nel 1943, a Caricamento attaccammo un gruppo di marinai tedeschi, e vi furono morti e feriti. Ormai i tedeschi ci conoscevano, per cui il partito ci ordinò di trasferirci in montagna alle pendici del Tobbio. Sapevamo che c'era questa banda allora io, Buranello, Fillak e un altro che era Fernando, siamo scesi giù, li abbiamo aspettati e mentre loro scendevano giù a ventaglio io gli sono andato sotto e gli ho gridato di buttare le armi. Morale: li abbiamo presi e sono passati con noi, li abbiamo tenuti noi e ne abbiamo fucilati tre: Puny, uno slavo che era una spia e quello dell'OVRA che faceva il cuoco con la banda. Quando io e Buranello salimmo in montagna, due ragazze di Ovada sono venute su per individuare dove erano i partigiani, mandate dai fascisti di Ovada; le prendemmo io e Buranello, l'abbiamo fatte parlare e l'indomani gli facemmo il processo. Loro avevano detto che la macchina dei fascisti l'indomani sarebbe andata a prenderle e difatti alle 10,30 detta macchina arrivò, aspettò un po' e poi se n'andò. E allora sono state fucilate. Una, che era la piccola, era molto coraggiosa e non ha mai confessato, la grande ha confessato; ma poi abbiamo avuto la prova quando siamo andati a Castelletto. Una di loro aveva una pelliccia grigia e Mussio, l'ex sindaco di Castelnuovo Scrivia, la conosceva bene perché era una prostituta che faceva la vita con gli ufficiali del r.e.i. verso il confine italiano.»
In seguito Fillak fu commissario politico della III Brigata GaribaldiLiguria, operante sull'Appennino ligure-alessandrino.[9] Nella primavera del 1944, questa formazione partigiana si disperse dopo un furioso combattimento con la Wehrmacht. Sfuggito alla Strage della Benedicta e ricercato, Fillak si spostò a Milano con l'intento infruttuoso di dirigersi verso la Jugoslavia.[6] Riparò quindi a Losanna, in Svizzera, dove rimase tre mesi ospite di Giulio Einaudi.[6] Riuscì a creare una rete di contatti che gli permisero il rientro in Italia. Nell'agosto 1944 raggiunse Cogne, dove cambiò il nome di battaglia con quello di Martin.[11] Fu inviato a Champorcher a svolgere le funzioni d Commissario politico di valle e alla fine di ottobre fu inviato a svolgere il ruolo di Commissario politico della 76ª Brigata Garibaldi,[11][13] partecipando e dirigendo numerosi scontri con l'esercito tedesco e i fascisti della Repubblica Sociale Italiana operanti a nord del Canavese e del Biellese. A inizio anno fu chiamato a far parte del comando della VII Divisione Garibaldi, che comprendeva la 76°, la 176ª e la 112ª Brigata.
Una delazione nei pressi di Ivrea, portò nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 1945 all'arresto di Fillak e dell'intero comando partigiano della VII Divisione, fatta eccezione del vicecomandante Diego Prella, nella frazione di Lace del comune di Donato.[7][6] Le due baite del comando della VII° e del comando della 76ª furono accerchiate da mercenari delle forze naziste e poi date alle fiamme. Nello scontro a fuoco morirono Abbondanza (Pietro Crotta), staffetta del comando, e Dante (Aldo Gariazzo), ispettore di brigata. Furono catturati con Fillak: Mak (Ugo Macchieraldo) ufficiale amministratore di divisione, Pirata (Piero Ottinetti) furiere, Bandiera I° (Attilio Tempia), comandante di brigata, Battisti (Luigi Gallo) commissario politico di brigata, Riccio (Riccio Orla) staffetta, Pallino (Allideo Molinatti), Frankenstein (Renato Tua), Luigi, Giglio, Testarin I° (Luigi Viero), Ugo (Alfieri Negro) e Basso (Renzo Migliore). Tutti i prigionieri furono giustiziati nei mesi a seguire, a Ivrea, Cuorgnè e Alpignano.[14]
Nel 2014 fu pubblicata dall'Anpi la testimonianza di Ausilia Bosio, compagna di Giovanni Ghella, che condivise con Fillak le ultime ore prima dell'impiccagione:[15]
«In quel tempo a Colleretto Castelnuovo, in frazione Ghella, si era installato in una vecchia villa disabitata il comando di una banda partigiana capitanata da Piero Falsetti. Un brutto mattino freddo e innevato ci accorgemmo di essere accerchiati da una colonna di tedeschi e fascisti. I tedeschi catturarono una quindicina di giovani, tra i quali il mio fidanzato, arrestato a casa mentre tranquillamente stava ancora a letto, il quale nemmeno provò a fuggire, in quanto, non essendo un partigiano, non pensava di essere preso. Dopo molti interrogatori i tedeschi si convinsero che non era un partigiano, così decisero di adoperarlo come “coadiuvatore” per quanto sul momento interessava loro. Da qualche giorno tenevano in carcere un loro acerrimo nemico, un capo partigiano molto conosciuto di nome Walter Fillak, ed era necessario, perché pericoloso per loro, eliminarlo al più presto, temendo attacchi partigiani per liberarlo. Spiegarono al mio fidanzato, che se voleva tornare libero avrebbe dovuto partecipare al tentativo di convincere Walter a parlare e ad accostarsi al Sacramenti. (proprio loro... assassini!) Chiusero Walter Fillak, il mio fidanzato e un altro (probabilmente un finto partigiano) di cui non ricordo il nome, nella così detta “Sala d’aspetto”, con tavola imbandita, carta da lettera e vino a volontà. Walter era un uomo molto astuto e intelligente e comprese subito la farsa, perciò scrisse tre lettere: la prima alla fidanzata, una alla famiglia sua, che al tempo abitava a Milano, ed un’altra per una persona amica dei partigiani. Le consegnò a papà dicendogli: “Sono sicuro che tu domattina non morirai... perciò fammi questo favore, consegna le lettere appena uscirai di qui”. Il mio fidanzato insistette molto, come promesso ai tedeschi, perché chiamasse un prete, ma nulla da fare. Lui diceva: “Sono comunista, e voglio morire da comunista”. Il mattino dopo, come predetto dallo stesso Fillak, fu lui solo a partire per il patibolo, anche l'altro “partigiano” uscì indenne come il mio fidanzato. (Probabilmente era stato incaricato di controllare cosa avveniva in quella nottata.) Fu proprio tutta una triste commedia! Il mio ragazzo fu liberato. Appena rimessosi, portò subito le lettere al referente partigiano di Cuorgnè. Poi spedì per raccomandata le lettere ai famigliari e alla fidanzata di Fillak, i quali vennero poi a ringraziare e a capire come erano state le ultime ore del loro congiunto. Il mio fidanzato disse che Walter era un vero partigiano e valoroso, all'ultimo momento uscì da quella stanza salutando come se nulla lo aspettasse.»
Fillak scrisse effettivamente tre brevi e note lettere prima di morire: una al padre Ferruccio, una alla madre Maria, una alla fidanzata Ines.[7] Una frase tratta dalla sua ultima lettera alla madre fu scelta, nel 1996, come motto della mostra storico-documentaria "Il Partito Comunista Italiano - Settant'anni di storia d'Italia", curata da Gianni Giadresco, Luciano Canfora e Franco Della Peruta:[7][16]
«Ho combattuto per la liberazione del mio Paese e per affermare il diritto dei comunisti alla riconoscenza e al rispetto di tutti gli Italiani.»
(Walter Fillak, 1945)
Processato il 4 febbraio 1945, venne portato la mattina del giorno seguente nel luogo deciso per l'uccisione vicino a Cuorgnè,[11][9] ma accadde un imprevisto: il cavo telefonico con cui volevano impiccarlo si spezzò.[7] I nazisti non ebbero tuttavia pietà e, procuratisi una corda in canapa da un camion, portarono a termine l'omicidio, infierendo sul corpo con un ultimo colpo di pistola alla testa sparato dal tentente Kokemüller, presidente della corte marziale che lo aveva condannato.[5][6][8]
Nel 1969 gli venne riconosciuta la Medaglia d'argento al valor militare alla memoria.[1]
Presso l'Istituto storico della Resistenza è conservato il fondo con la documentazione di Walter Fillak, trasmessa da Bianca Matteini il 12 settembre 1973.[17]
Nel 1975 è stato pubblicato postumo il libro Lettere dal carcere, che raccoglie la corrispondenza di Walter Fillak con la famiglia intercorsa nel periodo di prigionia fra l'ottobre 1942 e l'agosto 1943, ricomposta dal padre Ferruccio e data alle stampe con una prefazione di Tullia De Majo e la ristampa di alcuni documenti originali inerenti alle vicende di Fillak.[5]
Riconoscimenti
Genova gli ha dedicato una via nel quartiere di Sampierdarena.
Il Liceo scientifico Gian Domenico Cassini ha dedicato a lui e ad altri ex alunni partigiani (Giacomo Buranello, Giorgio Issel, Silvano Stacchetti) una lapide a eterna memoria posta sopra l'ingresso dell'aula magna dell'istituto.
Ivrea gli ha dedicato una piazza nel centro storico.
Cuorgnè gli ha intitolato una via e una lapide nel luogo in cui venne giustiziato.
Il comune di Donato, sede del comando partigiano, gli ha intitolato una via e ha eretto un monumento alla Resistenza utilizzando i ruderi della casa incendiata dai tedeschi.
Montanaro gli ha intitolato la scuola materna statale.
«Fillak Walter Mario Giuseppe nato il 10 giugno 1920 a Torino. Alpino, entrava all'armistizio nelle file partigiane e divenuto un esperto organizzatore ed animatore delle prime bande armate della sua zona, prendeva parte a varie azioni distinguendosi per le spiccate doti di comando e sprezzo del pericolo. Nominato comandante di brigata e, successivamente, di divisione partigiana, dava splendide prove di fermezza di carattere, audacia e tenacia. Catturato dopo eroica resistenza contro forze avversarie preponderanti in uomini e mezzi, sopportava con alto stoicismo e salda virilità le più atroci sevizie, cadendo fieramente al grido di "Viva l'Italia".» — Courgnè (Torino), 5 febbraio 1945[2][1]
Opere
Walter Fillak, Lettere dal carcere, introduzione di Tullia De Majo, Edizione Anpi, 1975.
Walter Fillak (Gennaio - Martin), in I compagni mi vendicheranno. Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, introduzione di Giuseppe Aragno, Napoli, La Città del Sole, 2006, ISBN9788882923273.