Questo articolo affronterà il tema Tragopogon pratensis, esplorandone le diverse sfaccettature e significati. Dalla sua origine fino alla sua attualità, Tragopogon pratensis è stato oggetto di interesse e dibattito in vari ambiti della società. Attraverso un'analisi profonda e dettagliata, cercheremo di far luce sugli aspetti chiave che circondano Tragopogon pratensis, oltre a offrire una visione arricchente e prospettive interessanti sul suo impatto sulla cultura, la storia, la politica o qualsiasi altro campo rilevante. Per approfondire la comprensione di questo importante tema, verranno esaminate anche le sue implicazioni pratiche e le possibili ramificazioni per il futuro.
Barba di becco dei prati | |
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Classificazione APG IV | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
(clade) | Angiosperme |
(clade) | Mesangiosperme |
(clade) | Eudicotiledoni |
(clade) | Eudicotiledoni centrali |
(clade) | Superasteridi |
(clade) | Asteridi |
(clade) | Euasteridi |
(clade) | Campanulidi |
Ordine | Asterales |
Famiglia | Asteraceae |
Sottofamiglia | Cichorioideae |
Tribù | Cichorieae |
Sottotribù | Scorzonerinae |
Genere | Tragopogon |
Specie | T. pratensis |
Classificazione Cronquist | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Plantae |
Divisione | Magnoliophyta |
Classe | Magnoliopsida |
Sottoclasse | Asteridae |
Ordine | Asterales |
Famiglia | Asteraceae |
Sottofamiglia | Cichorioideae |
Tribù | Cichorieae |
Genere | Tragopogon |
Specie | T. pratensis |
Nomenclatura binomiale | |
Tragopogon pratensis L., 1753 | |
Nomi comuni | |
Salsefrica |
La barba di becco dei prati (nome scientifico Tragopogon pratensis L., 1753) è una specie di pianta angiosperma dicotiledone della famiglia delle Asteraceae.[1][2]
Da Dioscoride sappiamo che il nome della pianta (e quindi del genere) deriva dal greco τράγος tràgos "caprone" e πώγων pṑgōn "barba" per la somiglianza delle setole del pappo con la barba di un caprone. Il nome volgare più comune e antico, barba di becco, sembra derivare da una dizione longobarda (bikk= becco). Ci sono diverse testimonianze della conoscenza di questa pianta fin dall'antichità. Sembra che in un affresco pompeiano si trovi una sua raffigurazione.[3]
Il nome scientifico della specie è stato definito per la prima volta dal botanico Carl Linnaeus (1707-1778) nella pubblicazione " Species Plantarum" ( Sp. Pl. 2: 789) del 1753.[4]
Habitus. La forma biologica è emicriptofita scaposa (H scap), ossia in generale sono piante erbacee, a ciclo biologico perenne, con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve e sono dotate di un asse fiorale eretto e spesso privo di foglie. Ma a volte può presentare caratteristiche tipiche delle terofite (quindi pur essendo annuali superano l'inverno sotto forma di seme). Barba di becco ha un ciclo anche biennale; questo vuol dire che il primo anno sviluppa una rosetta di foglie basali; mentre il secondo anno produce lo scapo fiorale. Gli organi interni di queste piante contengono lattoni sesquiterpenici.[5][6][7][8][9][10][11]
Fusto. Il fusto è solo di tipo epigeo (quello ipogeo è assente) ed è eretto, poco ramoso e glabro o con scarso tomento. La sezione si presenta cava (fusto fistoloso) e striata. In genere è ingrossato ai nodi. La radice è verticale ingrossata (1 cm di diametro) o lievemente obliqua del tipo a fittone. La sezione massima è di 1 cm. Queste piante possono raggiungere una altezza massima di 3 - 8 dm.
Foglie. Le foglie sono lineari - strette, molto lanceolate e acuminate (dimensione da 5 a 20 cm - larghezza 4 cm) a margine intero o lievemente ondulato. Sono inoltre sessili con base amplessicaule allargata (10–15 mm). A volte sono arricciate. Nella zona centrale (mediana), longitudinalmente, presentano una nervatura molto marcata.
Infiorescenza. L'infiorescenza ha pochi capolini (per lo più sono solitari) di diametro 3–6 cm fissati all'apice di un sottile peduncolo. L'involucro è cilindrico con un diametro di circa 1 cm ed è formato da una serie di 7-8 squame (brattee) lineari e acuminate. Dopo la fioritura le brattee si ripiegano all'ingiù. Il ricettacolo è nudo, ossia è privo di pagliette a protezione della base dei fiori; è liscio, glabro e a forma convessa. Dimensione delle brattee: larghezza 3 mm; lunghezza 18 – 25 mm.
Fiori. I fiori sono tetra-ciclici (ossia sono presenti 4 verticilli: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (ogni verticillo ha in genere 5 elementi). I fiori sono inoltre ermafroditi e zigomorfi.
Frutti. I frutti sono degli acheni grigiastri, fusiformi risultanti dalla metamorfosi del tubo calicino nelle fasi della maturazione fiorale. I frutti, lunghi quanto l'ovario, hanno un becco lungo con un pappo molto piumoso (delle barbe laterali patenti intrecciate ad ombrello - una trentina circa) di colore bianco. Dimensione dell'achenio: 15 – 20 mm.
Dal punto di vista fitosociologico alpino Tragopogon pratensis appartiene alla seguente comunità vegetale:[17]
Per l'areale completo italiano Tragopogon pratensis appartiene alla seguente comunità vegetale:[18]
Descrizione. L'alleanza Cerastion arvensis-Cynosurenionn cristati è relativa ai prati antropici (falciati) in terreni pianeggianti e umidi. L'areale è quello dell'Appennino centro-settentrionale. Le comunità di queste alleanze si ritrovano fra i 900 e i 1400 metri di quota.[19]
Specie presenti nell'associazione: Cerastium arvense, Rhinanthus minor, Tragopogon pratensis, Salvia pratensis, Armeria canescens.
Altre alleanze per questa specie sono:[18]
La famiglia di appartenenza di questa voce (Asteraceae o Compositae, nomen conservandum) probabilmente originaria del Sud America, è la più numerosa del mondo vegetale, comprende oltre 23.000 specie distribuite su 1.535 generi[20], oppure 22.750 specie e 1.530 generi secondo altre fonti[21] (una delle checklist più aggiornata elenca fino a 1.679 generi)[22]. La famiglia attualmente (2021) è divisa in 16 sottofamiglie.[1][8][9]
Il genere della specie di questa voce appartiene alla sottotribù Scorzonerinae della tribù Cichorieae (unica tribù della sottofamiglia Cichorioideae). In base ai dati filogenetici la sottofamiglia Cichorioideae è il terz'ultimo gruppo che si è separato dal nucleo delle Asteraceae (gli ultimi due sono Corymbioideae e Asteroideae).[1] La sottotribù Scorzonerinae è il secondo clade che si è separato dalla tribù.[9]
All'interno della sottotribù sono stati individuati diversi cladi, alcuni in posizione politomica. Il genere di questa voce, da un punto di vista filogenetico, si trova in una posizione centrale e con il genere Geropogon forma un "gruppo fratello" (differiscono soprattutto per gli acheni e il pappo). Il genere Tragopogon come è descritto attualmente è monofiletico.[11]
I caratteri distintivi per la specie di questa voce sono:[23]
Il numero cromosomico della specie è: 2n = 12.[23]
Per questa specie sono riconosciute valide la seguenti due sottospecie:[2]
Nella "Flora d'Italia" sono indicate altre due sottospecie (minor e orientalis) attualmente considerate specie indipendenti.[2]
Secondo la divisione fatta da Pignatti[23] questa specie, nell'ambito del genere, fa parte del gruppo a fiori completamente gialli. In questo gruppo sono comprese alcune specie che si distinguono per i seguenti caratteri:
Le proprietà di questa pianta sono diuretiche, sudorifere, depurative e astringenti. I composti chimici presenti sono: inulina, inositolo, mannitolo, fitosterina. In particolare da ricerche fatte risulta che la radice conterebbe il 3,45% di sostanze azotate, l'1% di materie grasse e il 15% di sostanze idrocarbonate. La radice (decotto o sciroppo) può essere usata come calmante per la tosse (secondo la medicina popolare) e in genere ha effetti positivi per tutte le affezioni respiratorie. I petali in infusione hanno potere schiarente della pelle e sulle efelidi.
Alcune parti della pianta sono usate in cosmetica.
Le radici, possono essere raccolte in settembre - ottobre quando la pianta è a riposo (e comunque nel primo anno di vita della pianta), oppure in Primavera dell'anno successivo (marzo - aprile, prima che si formi lo scapo fiorale). Le radici sono molto gradevoli per il sapore dolce dovuto all'inulina (un polisaccaride variamente usato sotto il profilo dietetico soprattutto per i diabetici); così pure sono pregiati i giovani getti se consumati prima che diventino coriacei. Possono essere preparati in minestra o nelle frittate. Anche le foglie più tenere si possono usare crude come insalata.
Questi fiori verso le ore centrali della giornata (col bel tempo) si chiudono per evitare il sole: Barba di becco orientale si chiude verso le 11, mentre Barba di becco rimane aperto fino alle 14. Mentre a cielo coperto rimangono sempre chiusi e presentano un tipico aspetto conico.
In Emilia, nella provincia di Reggio Emilia, la pianta è conosciuta con il termine dialettale "ciocabèc" (o "cioccabecco"), ricordato oggi dagli anziani come i getti più teneri della pianta fossero una risorsa contro la fame, in particolare nei periodi più duri della Seconda Guerra Mondiale.
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