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Figlia adottiva[2] del trovarobenapoletano Arturo Vitiello e dell'attrice di prosa fiorentina Adelaide Frataglioni, nacque a Prato: trascorse l'infanzia a Napoli. Iniziò giovanissima a calcare il palcoscenico nella compagnia di Eduardo Scarpetta. Successivamente comparve in un gran numero di film muti recitando parti secondarie.
Il suo primo film fu Il trovatore (1910). La giovane aveva una sgradevole voce gutturale, ma la sua decisione d'arrivare, unita all'insofferenza per la vita grama da commediante, le diede la spinta a 21 anni di trasferirsi a Roma, ribattezzatasi Francesca Bertini, interpretò il primo ruolo da protagonista in L'Histoire d'un Pierrot (1914), sotto la regia di Baldassarre Negroni per la Italica Ars che aveva commissionato la realizzazione del film alla Celio film, società legata alla Cines.[3]
Successivamente passò alla Caesar Film, che inizialmente l'aveva chiesta solo in prestito. In soli due anni Francesca Bertini raggiunse la notorietà. Il successo più eclatante arrivò nel 1915 con il ruolo della napoletanissima Assunta Spina, nell'omonimo film tratto dal dramma di Salvatore Di Giacomo, per la regia di Gustavo Serena. Ma la Bertini non si limitò a recitare la parte di protagonista. Volle avere un ruolo primario anche nella realizzazione del film. Lo confermò lo stesso Gustavo Serena:
«E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti. In perfetto dialetto napoletano, organizzava, comandava, spostava le comparse, il punto di vista, l'angolazione della macchina da presa; e se non era convinta di una certa scena, pretendeva di rifarla secondo le sue vedute.[4]»
Il fascino che emanava la sua figura, gracile, dai capelli corvini e con uno sguardo acceso e intenso, le fecero presto varcare i confini come tipo d'una bellezza meridionale e popolaresca. In seguito interpretò sul grande schermo grandi personaggi letterari e teatrali, come Fedora, Tosca e la Signora delle Camelie.
La sua notevole bellezza e la capacità di imporre la propria presenza in scena, soprattutto in parti tragiche, fecero di lei il primo esempio di diva cinematografica. Francesca Bertini inaugurò uno stile che, solo molto tempo dopo è stato ascritto al genere del divismo. Alcuni esempi:
per ogni scena pretendeva di indossare un abito nuovo. Il vestito, fatto su misura dalla sarta, doveva inevitabilmente essere inaugurato il giorno successivo;
qualsiasi film stesse girando, in qualsiasi luogo si trovasse, la Bertini alle cinque del pomeriggio si fermava e si recava in un grande albergo per prendere il tè in compagnia di alcune dame.
Francesca Bertini, assieme all'altra grande diva dell'epoca, Lyda Borelli, incarnava il personaggio di donna passionale, assoluta, straziante e fatale, allora di moda. Il suo produttore ebbe l'idea di farle realizzare una serie di sette film ispirati al romanzo d'appendiceI sette peccati capitali di Eugène Sue (1804-1857), ciascuno per un peccato capitale: la diva si sarebbe espressa in tutta la gamma delle passioni. Già dopo l'annuncio si ebbe un'altissima richiesta d'acquisto; la serie di film, uscita nel 1919, non ebbe però il successo commerciale sperato.
La Bertini entrò in crisi e decise di riposarsi per un po' di tempo in una clinica. Un giorno, durante questo periodo, vide in un teatro di posa della Caesar i nuovi metodi di lavorazione venuti da Torino. Decise di essere diretta da un regista torinese per il suo nuovo film. Si girò Anima allegra dei fratelli Quintero. Il film ottenne un buon successo di pubblico.
La Bertini era ancora all'apice del successo quando l'americana Fox avanzò un'allettante offerta (un contratto di un milione di dollari dell'epoca) per recitare in alcuni film, ma la diva rifiutò, anche perché aveva appena conosciuto il banchiere svizzeroAlfred Cartier che da lì a poco sarebbe diventato suo marito. Nell'agosto 1921 sostenne il suo ultimo ruolo notevole nel film La fanciulla di Amalfi, poi in settembre si sposò. Nella sua pur breve carriera aveva girato un centinaio di film e guadagnato quattro milioni di lire dell'epoca.
Francesca Bertini nel 1974
In seguito al matrimonio le sue apparizioni si fecero molto più rare; ma è verosimile che con l'avvento del cinema sonoro, come molti altri attori del muto, anche lei non seppe adeguarsi alle nuove tecniche di recitazione, penalizzata inoltre dal suo timbro di voce non proprio gradevole ed infatti in Odette, il suo secondo ed ultimo film sonoro da protagonista (il primo era stato La donna di una notte del 1930, girato in più versioni) rifacimento di un'omonima pellicola da lei interpretata all'epoca del muto, girato nel 1934 prima del suo ritiro definitivo, venne doppiata da Giovanna Scotto, divenendo così la prima attrice italiana ad essere doppiata nella sua stessa madrelingua.
Negli anni sessanta e settanta prese parte a qualche trasmissione televisiva: fu intervistata da Lelio Luttazzi a Ieri e oggi, Mike Bongiorno, Enzo Biagi e Maurizio Costanzo, sempre rievocando con una punta di nostalgia la sua leggendaria ma ormai lontana stagione di trionfi cinematografici. Nel 1969 fece uscire la sua autobiografia dal titolo Il resto non conta per la casa editrice Giardini, di Pisa.
La sua immagine di "Diva del muto" era ancora viva nel 1976: la puntata di Bontà loro del 25 ottobre, trasmessa in seconda serata, fece registrare 11.800.000 spettatori (contro i 5.400.000 della puntata precedente).[5] Nel 1982 il regista Gianfranco Mingozzi diresse per la televisione un documentario a lei dedicato, L'ultima diva. L'attrice morì a Roma il 13 ottobre 1985 all'età di 93 anni. È sepolta a Roma, nel cimitero di Prima Porta.
Il cinema ritrovato 2003 (PDF), su Cineteca del Comune di Bologna, pp. 117-128, 28 giugno-5 luglio 2003.
(EN) Monica Dall'Asta, Francesca Bertini, su Women Film Pioneers Project. URL consultato il 23 dicembre 2018 (archiviato dall'url originale il 23 dicembre 2018).