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Sofonisba (... – Cirta, 203 a.C.) è stata una nobildonna cartaginese, figlia di Asdrubale Giscone e moglie di Siface, re dei Numidi, che avrebbe spinto ad allearsi con i Cartaginesi contro i Romani.
Fece molto per mantenere il marito a fianco della patria cartaginese in difficoltà. Fatta prigioniera insieme a lui da Gaio Lelio dopo la sconfitta nella battaglia dei Campi Magni (203 a.C.), Massinissa se ne innamorò e la sposò dopo la sconfitta di Siface. Scipione voleva farla prigioniera, temendo che potesse sobillare il marito contro Roma, per cui Massinissa inviò a sua moglie una tazza di veleno per evitarle l'umiliazione d'andare in catene a Roma. Sofonisba bevve il tragico dono di nozze, preferendo morire piuttosto che vivere come schiava dei Romani.
La triste vicenda di Sofonisba ispirò molti scrittori e tragediografi, a cominciare da Francesco Petrarca, che le dedicò alcune pagine dei Trionfi (Tr. Cup., II, 79 ss.) e del poema Africa, ambientato proprio durante la seconda guerra punica (libro V); Giovanni Boccaccio la elogia nel De mulieribus claris (1362) come esempio di virtù.
In epoche successive Sofonisba fu al centro delle omonime tragedie di Gian Giorgio Trissino (1524), dello scrittore francese Jean De Mairet (1634) e di Vittorio Alfieri (1789), che segue solo in parte il modello del Trissino e descrive più drammaticamente la morte dell'eroina in presenza del marito Massinissa e di Scipione.
Altre opere sono:
Di pari passo con il diffondersi delle opere letterarie su Sofonisba, la sua figura appare nei cicli d'affreschi delle ville e dei palazzi italiani ed europei come esempio di virtù muliebre (es. Villa Caldogno a Vicenza affrescata dallo Zelotti nel 1565 c.).
Illustri pittori raffigurano il momento della sua morte in diverse opere artistiche:
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