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Radical chic è un'espressione inglese utilizzata per definire gli appartenenti alla borghesia medio-alta o al mondo della cultura e dello spettacolo che per vari motivi (per seguire la moda, per esibizionismo, per ricerca di consenso o per inconfessati interessi personali) ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale o comunque opposte al loro vero ceto di appartenenza, senza per questo rinunciare al loro elevato tenore di vita. Per estensione, la definizione di radical chic comprende anche uno stile di vita e un modo di vestirsi e comportarsi.
Un atteggiamento frequente è l'ostentato disprezzo del denaro o il rifiuto di occuparsene in prima persona quasi fosse tabù, pur sfoggiando uno stile di vita che indica un'abbondante disponibilità finanziaria o è improntato al procacciamento di consistenti guadagni con attività che, osservate in altri, un radical chic non esiterebbe a definire in modo sprezzante come volgarmente lucrative. Più di recente il fenomeno si manifesta con prese di posizione di aperta adesione all'ideologia woke.
Tipici dell’atteggiamento radical chic sono poi la convinzione di una superiorità culturale e/o morale sugli altri, che spesso si traduce nell’ostentata esibizione di una cultura "elevata"; la ricercata trasandatezza nel vestire; talora, anche la ricercatezza nell'ambito di scelte gastronomiche e turistiche particolari; più in generale, l'imitazione superficiale di atteggiamenti che erano propri di certi artisti controcorrente e che, ridotti a mera apparenza, perdono qualsiasi sostanza, denotando solo snobismo.
Dal 2008 è attestato in Italia il neologismo sinistra al caviale[1], calco del francese gauche caviar. Con lo stesso significato è utilizzata anche l'espressione partito delle ZTL, proposta il 27 giugno 2018 dall'allora consigliere regionale della Toscana in quota PD Antonio Mazzeo[2] a commento del ballottaggio delle elezioni comunali in cui il centrosinistra perse Massa, Pisa e Siena[3], con riferimento alle zone a traffico limitato, ossia ai centri storici delle principali città dove abitano i ceti più abbienti che spesso votano a sinistra[4][5].
La locuzione radical chic fu coniata nel 1970 da Tom Wolfe, scrittore e giornalista statunitense. Il 14 gennaio di quell'anno, infatti, Felicia Montealegre, moglie del celebre compositore e direttore d'orchestra Leonard Bernstein, organizzò un ricevimento di vip e artisti per raccogliere fondi a favore del gruppo rivoluzionario marxista-leninista Pantere Nere[6] (alcuni membri delle Pantere Nere furono invitati al ricevimento). Il party si tenne a casa dei Bernstein, un attico di tredici camere su Park Avenue (un ampio viale di Manhattan). Tom Wolfe scrisse un ampio resoconto sulla serata, descrivendo con toni molto critici gli invitati, tutti appartenenti all'alta società newyorchese. Ne risultò un articolo di ventinove pagine pubblicato sulla rivista New York Magazine dell'8 giugno 1970[7], che uscì con un'immagine di copertina costituita dalla fotografia di tre donne bianche, vestite in abiti da sera, che salutavano col caratteristico braccio alzato e pugno chiuso con guanto nero, che costituiva il gesto di protesta delle Pantere Nere[8].
In Italia l'espressione fu impiegata per la prima volta il 18 novembre 1971 nella rubrica di Lietta Tornabuoni Brevi incontri, sul quotidiano La Stampa. Titolo dell'articolo: Di che parla il "radical chic"? L'espressione "radical chic" compare nell'incipit: «Di cosa si parla a Roma, oltre che delle elezioni del Presidente, durante una serata che riunisce insieme Alberto Moravia e la sofisticata scrittrice inglese Muriel Spark, Alberto Arbasino e Camilla Cederna, Natalia Ginzburg e Bernardo Bertolucci, insomma il Politburo delle voghe, il "radical chic" locale, tutti i disponibili piloti del gusto?». Indro Montanelli riprese il neologismo nella celebre Lettera a Camilla[9] del 1972, in forte polemica con la giornalista Camilla Cederna, individuata come ideale rappresentante dell'italico «magma radical-chic», accusato di favorire l'ideologia della lotta armata degli anni di piombo; in realtà Cederna difendeva l'anarchico Giuseppe Pinelli, del tutto innocente rispetto alle accuse di coinvolgimento nella strage di piazza Fontana e morto durante un violento interrogatorio. In seguito Montanelli chiarì che la vera destinataria della lettera aperta era invece Giulia Maria Crespi, allora proprietaria del Corriere della Sera e amica della Cederna, con la quale i dissidi sarebbero sfociati, l'anno seguente, nell'allontanamento di Montanelli dal quotidiano di via Solferino, dove lavorava sin dal 1937. A parte l'adozione del neologismo, l'argomento era già stato affrontato sempre da Montanelli in vari scritti, nei quali lamentava la frivola ideologia sfoggiata da certa borghesia ricca e pseudo-intellettuale lombarda, di cui aveva fatto un ritratto tragicomico nella pièce teatrale Viva la dinamite!, del 1960[10].