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Girolamo Baruffaldi (Ferrara, 17 luglio 1675 – Cento, 31 marzo 1753 (o 1755)) è stato un presbitero, poeta e letterato italiano, noto anche per la fabbricazione di clamorosi falsi filologici localistici.
Nato nel 1675 da una nobile famiglia di Ferrara, dopo aver abbracciato la vita consacrata coltivò gli studi di archeologia e di storia, dedicandosi prevalentemente alla poesia.
Scrisse una “Storia di Ferrara”, il “Commentario storico – erudito”, e le “Vite dei pittori e scultori ferraresi”.
Conobbe Ludovico Antonio Muratori durante una disputa tra lo Stato della Chiesa e il Duca di Modena sui diritti per Comacchio. Il Baruffaldi sosteneva le tesi dello Stato della chiesa, ma fu accusato di aver passato al Muratori documenti favorevoli alla tesi avversaria, per cui dovette passare in esilio nel Veneto alcuni anni.
Compose un poema in otto libri intitolato Il Canapaio, con una grande attenzione agli aspetti agronomici[1] della coltivazione della canapa, che rivestiva una grande importanza per l'agricoltura della zona di Cento e che trovava largo impiego per gli usi della flotta veneziana.
Redasse l'antologia "Rime scelte dei poeti ferraresi" (1713): frammisto a materiale autentico e noto, c'è un buon numero di testi attribuiti a ferraresi più o meno illustri, ma tutti usciti dalla penna del Baruffaldi. I presunti rimatori ferraresi dei primi secoli trovarono estimatori di rango come Foscolo e Carducci, e ingannarono Leopardi che aprì la "Crestomazia poetica" con due leggiadrissimi sonetti spacciati da Baruffaldi come di Brunelleschi e di Leonello d'Este, e lasciò filtrare nei "Canti" segni evidenti della lettura di una fortunatissima canzone macabra pseudoquattrocentesca. Nell'ambito filologico viene ricordato come il più geniale falsario nel campo della letteratura antica.
Morì a Cento il 31 marzo 1753[2] o 1755.
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