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Epigrammi | |
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Titolo originale | Epigrammaton libri XII |
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Autore | Marco Valerio Marziale |
1ª ed. originale | 86-102 d.C. |
Editio princeps | Ferrara, Andrea Belfort, 1471 |
Genere | Raccolta di epigrammi |
Sottogenere | poesia |
Lingua originale | latino |
Gli Epigrammi (in latino: Epigrammaton libri XII) costituiscono l'intera opera letteraria del poeta latino del I secolo Marco Valerio Marziale
Si tratta di una raccolta suddivisa in dodici libri, composti e pubblicati a più riprese tra l'anno 86 e il 102, per un totale di più di un migliaio di epigrammi, scritti perlopiù in distici elegiaci ed endecasillabi faleci coliambi.
All'opera gli editori moderni aggiungono poi come introduzione il Liber de spectaculis, ovvero la porzione superstite (30 epigrammi in distici elegiaci) dei componimenti scritti per i giochi inaugurali dell'anfiteatro Flavio (80 d.C.), e come conclusione i due libri intitolati Xenia ("doni per gli ospiti", per lo più cibi e bevande) e Apophoreta ("cose da portar via" o regali estratti a sorte), raccolte di distici elegiaci che vogliono far da accompagnamento a doni (rispettivamente inviati durante i Saturnalia e offerti nei banchetti), composte fra l'83 e l'85 d.C.
Nella letteratura latina, già Catullo aveva affidato alla forma epigrammatica la terza sezione del suo Liber; fu però proprio Marziale a farlo diventare un genere letterario degno (e non più semplice passatempo - soprattutto politico - com'era fino ad allora stato). Nello specifico si tratta di una forma di poesia d'occasione, che fissa in pochi e brevi versi l'impressione colta in un attimo, quasi esclusivamente minimi fatti quotidiani, in uno stile aforistico. I temi affrontati sono nella stragrande maggioranza delle situazioni di tipo leggero, soprattutto di satira e parodia, riguardanti l'erotismo (sino a sfociare in certi casi in vera e propria pornografia), ma anche di carattere simposiaco e funerario.
Osservatore spietato della realtà che lo circonda, aggressivo, ma senza mai ridursi all'attacco personale, Marziale ci regala uno spaccato della vita di tutti i giorni all'interno della società romana del principato (storia romana), tra gli ultimi imperatori della dinastia flavia: lo spettacolo che gli si offre di fronte agli occhi comprende sciocchi e avari, invidiosi e affaristi, golosi e usurai, nuovi ricchi dall'animo plebeo, cortigiane ed effeminati, adulteri ed omosessuali (sia uomini sia donne), fino ai parassiti a caccia di eredità e agli adulatori dei potenti. La sua capacità è tutta nel rendere caratteristici, accentuandone i tratti più assurdi e ridicoli, i difetti sia fisici sia caratteriali.
Non vi è mai indignazione moralistica, ma sempre un sorriso distaccato o tutt'al più sprezzante, nessun risentimento né asprezza, solo un po' di malinconia verso la fine. Generalmente, e in questo s'ispira al latino Lucillio, chiude con una battuta finale inaspettata (aprosdoketon - che va contro le aspettative/effetto a sorpresa) e brillante; vivace e colloquiale, con una ricchezza di lessico che va dal colto all'ironico allo sboccato.
Il conoscente Plinio il Giovane, dopo la morte dell'autore, così lo descrive: "ingegnoso, acuto e pungente, che scriveva per lo più con arguzia e acrimonia, ma anche con candida schiettezza".
I metri maggiormente utilizzati sono il distico elegiaco, l'endecasillabo falecio, il trimetro giambico e l'esametro dattilico.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 305991465 · LCCN (EN) n88028470 · GND (DE) 4416819-6 · BNE (ES) XX2050826 (data) · BNF (FR) cb122512505 (data) · J9U (EN, HE) 987007602049405171 |
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