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Giuseppe Lipparini (Bologna, 2 settembre 1877 – Bologna, 5 marzo 1951) è stato un critico letterario, poeta e scrittore italiano.
Fu professore di letteratura italiana ad Urbino, a Matera e a Palermo, poi insegnò Storia dell'Arte all'Accademia di Belle Arti di Bologna. Fu anche giornalista, collaboratore di Athena, del Resto del Carlino del Corriere della Sera e del Messaggero di Roma. Fu inoltre presidente dell'Accademia di Belle Arti[1] e terzo presidente (1915-45) dell'Associazione per le Arti Francesco Francia di Bologna.
Appartenne al neoclassicismo, movimento letterario che cercava di rappresentare la realtà, esaltando i valori degli scrittori latini e dell'umanesimo e si proponeva di conservare la tradizione letteraria italiana da Dante a Leopardi.
In Arte e Stile, pubblicato nel 1930, Lipparini affermava: «Ma in verità, per noi Italiani, il latino non deve essere una lingua morta. È la lingua dei padri Romani, è l'italiano antico dei dominatori del mondo». A proposito della lingua italiana scrive: «Uno scrittore è tanto più grande, quanto più sono vive le parole di cui egli si serve. In Dante, nell'Ariosto, nel Leopardi, nel Manzoni le parole vivono di vita propria, si illuminano e si aiutano l'una con l'altra. Ad ognuna di esse corrisponde un'idea, e noi vediamo, pensiamo, sentiamo tutto quello che l'autore ha voluto farci vedere, pensare, sentire. Ma questo non accade negli scrittori mediocri. Noi diciamo senz'altro che essi sono "noiosi", perché nei loro scritti le parole sono fiacche, monotone e quasi morte».
Lipparini, come altri poeti nel primo quindicennio del Novecento, cercò di fare poesia rievocando liriche pascoliane. Scrisse le raccolte di poesie Sogni, I canti di Mèlitta (pubblicata nel 1925 con le illustrazioni di Antonello Moroni), Stato d'animo e pubblicò anche prose: raccolte di articoli di cultura varia (Passeggiate, Divertimenti, Convito), romanzi.
Scrisse I racconti di Cutigliano, del 1930 (a Cutigliano si trovava allora per motivi di salute e fu lì che si sposò); Virgilio, l'uomo, l'opera, i tempi nel 1925; Il fiore di lingua - Regole pratiche ed esercizi di grammatica (1940); Grammatica italiana; Epos Italico, letture dalla Gerusalemme liberata e dall'Orlando Furioso; Figure ed episodi della Divina Commedia; Aprile (1946); L'Accademia di Belle Arti e l'Accademia Clementina di Bologna, varie monografie sugli scrittori italiani, dai trecentisti in poi.
Con il suo romanzo Il signore del tempo (pubblicato originariamente a puntate in appendice su Il Carlino nel 1902 e ristampato in volume nel 1904) fu un precursore della fantascienza in Italia. Il romanzo narra dell'invenzione di un cronoscopio, uno speciale procedimento fotografico che permette di vedere nel passato, e delle drammatiche conseguenze che ciò comporta al suo ideatore.[2]
È sepolto nel Chiostro Maggiore del Cimitero monumentale della Certosa di Bologna.[3]
(parziale)
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