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Nel buddismo, Māra, ovvero 'Morte' (dalla radice sanscrita mri, da cui deriva anche a-mrita, "immortale"[1]) è l'asura (trad."nemico dei Sura" cioè "nemico dei Deva") che cercò di distogliere Gautama Buddha dal raggiungimento del Risveglio.
Mara cercò prima di sedurre Siddharta tramite l'apparizione delle sue tre figlie, Tanha (lett."Bramosia"), Arati (lett."Noia") e Raga (lett."Passione"), poi cercò di spaventarlo con l'apparizione di dieci eserciti di esseri mostruosi (corrispondenti ai dieci tipi di ostacoli della vita spirituale):
Mara è il tentatore, colui che distrae gli esseri dalla pratica rivolta alla Liberazione dal Saṃsāra, rendendo la vita mondana seducente o facendo sembrare il negativo come positivo. Esso rappresenta, più in generale, la Morte spirituale, tutto ciò che ostacola la via verso la Bodhi.
L'antico termine mara, in sanscrito, deriverebbe dal verbo proto indo-europeo mer=morire, come in lingua lettone; Letteralmente il suo nome significa "Uccisore".
Nel buddismo post-conciliare (successivo al Secondo Concilio di Pataliputra) vengono aggiunti altri tre sensi al nome "Mara":
Il recente buddismo ha riconosciuto un'interpretazione sia letterale che psicologica di Māra. Māra è descritto sia come entità che ha un'esistenza letterale, proprio come le varie divinità del pantheon Vedico sono mostrate come esistenti attorno al Buddha, sia come forza psicologica primaria: una metafora per vari processi di dubbio e tentazione che ostruiscono la pratica religiosa.
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