Nel mondo di oggi, Decomunistizzazione in Ucraina è diventato un argomento di grande rilevanza e interesse per un pubblico sempre più vasto. Che sia per il suo impatto sulla società, per la sua rilevanza storica o per la sua importanza nel contesto attuale, Decomunistizzazione in Ucraina continua ad essere argomento di dibattito e analisi in diverse aree. Dall'ambito accademico a quello popolare, Decomunistizzazione in Ucraina continua a suscitare interesse e a provocare riflessioni sulle sue implicazioni e conseguenze per il mondo contemporaneo. In questo articolo esploreremo diversi aspetti legati a Decomunistizzazione in Ucraina, analizzandone le implicazioni, la sua evoluzione nel tempo e la sua rilevanza nel contesto attuale.
Per decomunistizzazione o desovietizzazione[1][2][3] dell'Ucraina s'intende quel processo di decomunistizzazione (in ucraino декомунізація?, dekomunizacija) volto alla rimozione delle tracce del passato sovietico nella nazione ucraina rimuovendo statue e monumenti, rinominando luoghi ed eliminando i simboli comunisto-sovietici.
Iniziata subito dopo l'indipendenza dell’Ucraina nel 1991, la decomunistizzazione è rimasta per molto tempo blanda e disomogenea[4], per poi subire un’accelerazione dopo la "rivoluzione di Euromaidan" e la promulgazione di leggi che hanno messo al bando i simboli comunisti[5].
La decomunistizzazione a livello nazionale iniziò de facto con la messa al bando il 30 agosto 1991 dello storico Partito Comunista dell'Ucraina fondato nel 1918, avvenuta subito dopo il colpo di Stato fallito a Mosca, pochi giorni prima della dichiarazione d'indipendenza dell'Ucraina.[4][6][7][8] I primi provvedimenti di desovietizzazione furono appoggiati dal presidente Kravčuk, con la reintitolazione di molte località da parte dei radi locali[4][9]. Il processo fu però meno radicale e capillare rispetto a quello messo in atto negli Stati baltici e negli ex-membri del patto di Varsavia ed ebbe un successo rilevante solo nella parte occidentale del paese: infatti in Galizia e Volinia, dove già dal 1990 era in atto una decomunistizzazione a livello locale, vennero rimossi in pochi anni circa 2000 monumenti a Lenin[10][11][12]. Nell'Ucraina centrale e nelle zone russofone dell'est (queste ultime storicamente più legate alla Russia ed all'industrializzazione staliniana) vi furono fino alla metà degli anni 2000 solo alcuni tentativi sporadici[9]. Inoltre la stessa Verchovna Rada, il 14 maggio 1993, consentì la costituzione di partiti di ispirazione comunista, permettendo così a formazioni politiche come il PCU di partecipare alle elezioni per oltre vent'anni[13]. Nel 2001, con la legge sullo stemma dell'Ucraina, si stabilì la rimozione dei simboli "dell'URSS, gli slogan del PCUS" dagli edifici "non iscritti al registro dei monumenti storici e culturali."[14][15]
Una nuova spinta alla decomunistizzazione ci fu con la rivoluzione arancione e la presidenza Juščenko: questi infatti, tra il 2007 ed il 2009 promulgò una serie di ukazi coi quali si imponeva la rimozione dei monumenti e memoriali dedicati a personalità del regime sovietico legate all'holodomor[16][17]. A seguito di questi ukazi vennero abbattute dalle autorità altre 500 statue di Lenin ed il monumento a Grigorij Petrovskij eretto a Kiev[10][18]. A livello locale, nelle regioni orientali, queste iniziative furono criticate dai membri del PCU e di altri partiti comunisti o filosovietici ed ebbero come risposta l'inaugurazione di nuovi monumenti a Lenin a Novosvitovka e Sverdlovsk[19] e di una statua di Stalin (la prima eretta in Ucraina dopo la morte del dittatore) davanti alla sezione del PCU di Zaporižžja[20]. D'altra parte, verso la fine del decennio, iniziò una serie di atti vandalici da parte di gruppi nazionalistici contro le statue sovietiche rimaste in piedi[21]. La decomunistizzazione subì una battuta d'arresto con l'elezione di Viktor Janukovyč, che durante la sua presidenza incentivò la costruzione di monumenti legati alla grande guerra patriottica e fece approvare una legge per introdurre la bandiera della Vittoria per ingraziarsi una parte del paese nostalgica del passato sovietico[22].
Il risentimento verso i monumenti sovietici insito in parte della popolazione riemerse durante le proteste di Euromaidan, durante le quali iniziò la cosiddetta Leninopad[10] (Ленінопад; "pioggia dei Lenin"), ossia l'abbattimento da parte dei dimostranti delle statue comuniste, principalmente di Lenin, rimaste in piedi[23]. Tra la fine del 2013 e la fine del 2014 furono distrutti o rimossi 552 monumenti a Lenin (a Kiev[24], Charkiv, Dnipropetrovs'k[25], Odessa[26], Žytomyr[27], Chmel'nyc'kyj[27], Berdičiv[26] e in altre località) e diverse decine di monumenti dedicati ad altri esponenti del regime sovietico[10]. Dopo l'impeachment e la fuga di Janukovyč, alcuni degli abbattimenti avvennero con l'autorizzazione delle autorità[24].
Il 9 aprile 2015 la Verchovna Rada approvò un "pacchetto decomunistizzante[28]", quattro leggi con le quali, oltre a celebrare ufficialmente "qualsiasi organizzazione che abbia combattuto per l'indipendenza dell'Ucraina nel XX secolo", si misero al bando, insieme all'ideologia e ai simboli nazionalsocialisti, la propaganda ed i simboli comunisti, in quanto espressione di regimi totalitari[29][30][31]. In particolare si identificava il regime sovietico come fautore di un "terrore di Stato.[32][33]" Le leggi anticomuniste furono poi firmate dal presidente Porošenko il 15 maggio e pubblicate sulla Holos Ukraïny, entrando in vigore il 21 maggio[34][35]. Le nuove norme prevedevano anche la rimozione di ogni simbolo del passato sovietico e del comunismo in genere (statue, slogan, stemmi, bandiere, ecc.), ad eccezione di quelli presenti in memoriali e cimiteri della seconda guerra mondiale o usati in contesti artistici e divulgativi[36]. Una delle quattro leggi sostituì in ogni contesto ufficiale la definizione "grande guerra patriottica" con "seconda guerra mondiale.[37]" Vennero anche rimosse le stelle a cinque punte dalle spalline dei militari, sostituendole con un altro simbolo[38].
Uno degli scopi principali delle leggi era quello di modificare i nomi di tutte quelle località intitolate a personaggi del passato sovietico e venne imposto un termine di sei mesi per il completamento dell'operazione; tuttavia nell'autunno del 2015 il processo ebbe una battuta di arresto a causa, secondo il coordinatore della commissione per la decomunistizzazione dell'oblast' di Černihiv Vasyl' Čepurnyj, "della paura dei capi delle comunità locali di perdere voti alle elezioni di ottobre[39]."
Per il 2017 furono rimosi 2389 monumenti sovietici, tra cui gli ultimi 1320 dedicati a Lenin rimasti nel territorio controllato dal governo ucraino e presenti nei registri pubblici[40][41]. La gran parte di queste sculture fu distrutta o fusa[40]. Alcune delle statue e dei gruppi scultorei più grandi vennero conservati in previsione dell'apertura di un "museo della propaganda monumentale dell'URSS" a Kiev[40][42]. Nel 2019 venne aperto un museo a cielo aperto sul totalitarismo sovietico nella foresta Spadščanskyj, nell'oblast' di Sumy[43].
Tra il 2017 e il 2018, il consiglio comunale di Kiev ha approvato la ridenominazione di molti spazi pubblici della città che richiamavano al periodo sovietico: tra questi un ponte, una stazione metropolitana e alcune strade[44][45].
Nel 2023 la statua monumentale Madre Ucraina di Kiev, è stata "desovietizzata" sostituendo lo stemma con falce e martello presente sullo scudo con il tridente ucraino.[46]
Nei territori controllati dalle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk, così come in Crimea, la maggior parte dei monumenti sovietici sono rimasti in piedi[3][24]. Nonostante la Crimea e i territori di gran parte delle oblast' di Donec'k e Lugans'k non fossero più sotto il controllo diretto di Kiev, il parlamento ucraino ridenominò formalmente 148 località di quelle aree[47].
Con l'avanzata delle truppe russe durante l'invasione dell'Ucraina del 2022, le località occupate videro il ritorno alla vecchia toponomastica, nonché una nuova erezione delle statue di Lenin abbattute in precedenza.[48][49]
Il giorno prima dell'approvazione delle leggi anticomuniste, il presidente dell'istituto ucraino della memoria nazionale sollecitò i parlamentari a votare a favore sostenendo che "condannare i crimini non è una questione di vendetta, è una questione di giustizia. I paesi europei sopravvissuti al totalitarismo hanno approvato leggi che hanno confermato che lo Stato appena formato si impegna a non ripetere mai più pratiche totalitarie".[50][51]
L'opposizione filorussa presente nella Rada contestò la campagna di decomunistizzazione, sostenendo che sarebbe costata tra i 7 ed i 15 miliardi di UAH[52].
All'indomani del voto della Rada, un gruppo di 70 intellettuali scrisse una lettera a Porošenko, criticando l'impostazione antisovietica e la legittimazione implicita delle azioni dell'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN) e dell'Esercito insurrezionale ucraino (UPA) delle leggi.[53][54][55] Nel maggio 2017 46 parlamentari, principalmente appartenenti al partito filo-russo Blocco di Opposizione, presentarono un ricorso alla Corte costituzionale ucraina sollevando una questione di legittimità costituzionale delle leggi anticomuniste[56]. Il 16 giugno 2019 la Corte rigettò il ricorso[56][57].
In un sondaggio condotto in Ucraina nel novembre 2016, il 45% degli intervistati si dichiarò favorevole alla rimozione delle statue di Lenin, il 48% contro e l'11% indeciso; il 57% si disse contrario al cambio di tutti i nomi della città di derivazione sovietica, mentre il 49% si dichiarò favorevole ed il 44% contrario ad una campagna di ridenominazione selettiva[58]. Un altro sondaggio, nel 2020, riscontrò un 30% degli intervistati favorevoli alla campagna di ridenominazione, un 44% contrario ed un 22% indifferente[59]. Nello stesso sondaggio il 34% si espresse a favore della condanna dell'URSS come "stato totalitario legato ad una politica di terrore", il 31% contrario, il 13% indeciso ed il 15% indifferente[59]. I maggiori sostenitori della decomunistizzazione risultavano essere i filo-europeisti[59].
Dunja Mijatović, rappresentante OSCE per la libertà dei media, scrisse nel maggio del 2015 a Petro Porošenko, lamentando la formulazione vaga delle leggi anticomuniste, che "può facilmente portare alla soppressione del discorso politico, provocatorio e critico, soprattutto nei media.[60]" Amnesty International, nel dicembre 2015, criticò la messa al bando del Partito Comunista dell'Ucraina fondato nel 1993, parlando di una "flagrante violazione della libertà di espressione e di associazione.[61]" La commissione di Venezia, in un parere congiunto con l'OSCE/ODIHR del dicembre 2015, stabilì, pur riconoscendo all'Ucraina il diritto di mettere al bando i simboli di regimi totalitari, che le leggi del 2015 erano troppo larghe nel bandire a priori certe associazioni politiche[62].
Le leggi anticomuniste suscitarono molte critiche in Russia: già prima della loro approvazione, Konstantin Dolgov, commissario del ministero degli esteri russo per i diritti umani, definì l'equiparazione del comunismo con il nazismo "contraria al diritto internazionale e alle decisioni di Norimberga."[63] Poco dopo il voto favorevole della Rada, il ministro degli esteri russo Lavrov disse che l'Ucraina "stava cancellando il passato eroico" e che le nuove norme di "stampo totalitario" danneggiavano la libertà di pensiero;[64][65] in un comunicato, il segretario del Partito comunista della Federazione russa Zjuganov dichiarò che "la giunta banderista" aveva compiuto "un ulteriore passo verso l'instaurazione del neofascismo" in Ucraina.[66] Rossijskaja Gazeta definì "banderiste" ed "apologetiche" le politiche anticomuniste[67][68].
Vladimir Putin, il 21 febbraio 2022, pochi giorni prima dell'invasione dell'Ucraina, disse, dopo aver sostenuto che l'Ucraina era null'altro che una creazione di Lenin, che "la Russia era pronta a mostrare agli ucraini il vero significato di decomunistizzazione."[69]
Le decomunistizzazione ha provocato le lamentele di molti partiti di sinistra ed estrema sinistra, come il Partito Comunista Britannico[70], Partito Comunista Portoghese[71], il Polo di Rinascita Comunista in Francia[72], il Partito Comunista di Grecia[73], Rifondazione Comunista[74] ed il nuovo Partito Comunista Italiano[75], il Partito Comunista del Venezuela[76]. Nel 2014 l'europarlamentare francese Jean-Luc Mélenchon disse che la messa al bando del partito comunista ucraino faceva parte delle "politiche neonaziste" di Kiev[77].