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Cavalcabò | |
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Fondatore | Sopramonte Cavalcabò |
Data di fondazione | XII secolo |
Rami cadetti | Cavalcabò di Vicenza |
Cavalcabò è un'antica famiglia feudale di parte guelfa e di origine obertenga,[1] che per alcuni decenni del XIV secolo dominò la città di Cremona.
La famiglia Cavalcabò, considerata la più antica ed illustre della città, risale a Oberto Obertenghi, conte di Luni, che fu investito della Marca obertenga per l'aiuto dato a Berengario II per l'innalzamento al Regno d'Italia.[2] La più antica menzione è riferita al marchese Corrado Cavalcabò, nel 1116.[2]
Capostipite della famiglia fu il marchese Sopramonte Cavalcabò[3][4], figlio di Corrado detto Cavalcabò (XII secolo). La famiglia prese il dominio di Cremona a partire dal 1276 col marchese Cavalcabò e terminò nel 1320 circa con Giacomo Cavalcabò che cedette i poteri alla potente famiglia dei Visconti con Galeazzo I. I Cavalcabò con Ugolino ripresero il potere sulla città nel 1403 ma la signoria durò pochi anni, perché nel 1406 Cremona passò definitivamente nelle mani dei Visconti. Un ramo nel XVII secolo si trapiantò a Sestola; una strada del paese è a loro intitolata.
Di rosso al bue cavalcato da un guerriero, il tutto al naturale.[5]
Dagli inizi del XV secolo il Palazzo Cavalcabò di Spineda fu la dimora dei marchesi Cavalcabò, signori di Viadana. La loro dominazione fu interrotta dai Gonzaga di Mantova nel 1415. Agostino Cavalcabò, giurista di Cremona, ampliò il palazzo nel 1790 e costruì il parco con frutteto. La famiglia successivamente abbellì la dimora, per opera dell'architetto cremonese Luigi Voghera.
Sorto agli inizi del Cinquecento è uno degli edifici di proprietà della famiglia Cavalcabò e si erge in Corso Matteotti. Rimaneggiato nel XIX secolo fu abbellito dall'architetto Carlo Visioli. Il suo interno, perfettamente conservato, è ricco di arredi antichi e dei mobili appartenuti ad Agostino Cavalcabò, i cui figli sono Allegra, Giovanni, Edoardo.
L'archivio della famiglia ricevette un primo riordino ad opera del marchese Agostino Cavalcabò. L'attuale conservatore, Agostino, subentrò al padre Giovanni nella detenzione dell'archivio, ereditato e trasmesso per la conservazione di padre in figlio.[6]