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Per cachistocrazia[1] o kakistocrazia (dal greco antico κάκιστος?, kákistos, "pessimo" e κράτος, krátos, "comando"), anche detta peggiocrazia[2], si intende un governo in cui il potere è affidato ai cittadini meno competenti e qualificati, dunque ai "peggiori". La parola è costruita come l'antonimo di "aristocrazia", che secondo la sua etimologia greca è il "governo dei migliori". Data la connotazione peggiorativa, la parola non viene mai usata come denominazione ufficiale di uno Stato, ma conosce solo usi di natura polemica e critica, sia nell'ambito della comunicazione politica informale e giornalistica, sia nell'ambito della filosofia politica e della sociologia del potere.
Il primo uso attestato in lingua inglese della parola kakistocracy[3] risale a un sermone del 1644 nel quale un sostenitore di Carlo I, Paul Gosnold, si scaglia contro gli "spiriti irrequieti" (i parlamentari e i presbiteriani) che, "avendo una perpetua voglia di cambiare e innovare", sono desiderosi di trasformare "la nostra monarchia ben temperata in un qualche folle tipo di kakistocrazia" (transforming ... our well-temperd Monarchy into a mad kinde of Kakistocracy)[4]. Nell'Ottocento il termine è consolidato, sebbene di uso sporadico e letterario, e si incontra ad esempio in una novella del 1829 dello scrittore inglese Thomas Love Peacock[5] e nelle Memoir on Slavery (1838) del senatore statunitense William Harper[6].
In tedesco l'uso è attestato nella seconda metà del XVIII secolo. Nel 1783 lo storico August Ludwig von Schlözer scrive della "kakistocrazia in Olanda"[7], e nel 1800 il matematico Abraham Gotthelf Kästner pubblica un breve componimento poetico in cui alla monarchia e all'aristocrazia è contrapposta la "kakistocrazia di Robespierre"[8].
In italiano l'espressione kakistocrazia è usata in un epigramma di Vittorio Alfieri del 1797, raccolto nelle Rime[9], come stravolgimento sarcastico di "aristocrazia", per lamentare la fine della Repubblica di Venezia invasa dall'esercito di Napoleone:
(...) Scambio or vi diam, per l'ARistocrazìa,
La nostra santa KaKistocrazìa.»
L'espressione "cachistocrazia o cacistocrazia" è registrata nel Panlessico italiano, ossia dizionario universale della lingua italiana di Marco Bognolo (Venezia, 1839), dov'è definita semplicemente come "governo pessimo"[10]. Nell'Ottocento e nel Novecento le espressioni "cachistocrazia" o "kakistocrazia", pur restando colte, rare e parodistiche, continuano ad essere presenti nelle fonti letterarie e pubblicistiche, come ad esempio nel discorso del 1883 del vescovo di Foggia Marinangeli: qui la "cachistocrazia" sarebbe l'esito della statolatria hegeliana e della separazione laica tra Stato e Chiesa[11].
Nella comunicazione politica informale e giornalistica, il termine "kakistocrazia" conosce un uso sporadico, ma costante e consolidato, per stigmatizzare regimi politici, governanti e gruppi di potere di cui si lamenta l'incapacità a governare, l'incompetenza, la corruzione o l'autoritarismo. A titolo esemplificativo, il termine in tempi recenti è stato usato con intento polemico per descrivere:
Luigi Zingales ha usato il termine "peggiocrazia" per riferirsi all'assenza di fiducia in un sistema meritocratico e alla mancanza di una cultura della legalità, che in un libro del 2012[22] egli identifica tra le cause della crisi economica dell'Italia[23].
Il termine "kakistocrazia" è stato usato più volte dal filosofo della politica Michelangelo Bovero[24][25][26], che ne ha proposto una ridefinizione originale.
Bovero chiama kakistocrazia una forma di governo che riunisce in sè la degenerazione della monarchia, dell'aristocrazia e della democrazia. Il riferimento è alla teoria dell’anaciclosi e della costituzione mista di Polibio, il quale aveva riportato il successo politico e militare di Roma alle virtù della sua costituzione, capace di integrare i pregi della monarchia, dell’aristocrazia e della democrazia. Bovero immagina una costituzione che sia la combinazione delle forme degeneri di queste tre forme di governo, cioè della tirannide, dell'oligarchia e dell'oclocrazia. Il risultato è appunto la kakistocrazia, in cui “la tendenza oclocratica plebea, quella oligarchica plutocratica e quella tirannica dittatoriale convergono sino a formare un'alleanza potente e vittoriosa”[25].
La kakistocrazia consiste perciò nell’antitesi della costituzione mista di Polibio o dell'“ottima Repubblica” di Campanella: è la pessima repubblica, il peggior governo, cioè il governo dei peggiori. Nella lettura di Bovero questo concetto avrebbe una capacità descrittiva e critica della crisi contemporanea della democrazia, che sarebbe soggetta alla spinta oclocratica verso la demagogia, il populismo e la volgarità, alla spinta oligarchica verso il neoliberismo e il predominio degli interessi economici più forti, e alla spinta tirannica verso l’accentramento cesaristico dei poteri in capo al leader.
Così inteso, il concetto di kakistocrazia è usato per analizzare e stigmatizzare le trasformazioni della società e della politica italiane, ed è entrato in circolazione a partire dai primi anni 2000 negli studi politologici e nel dibattito pubblico[27].