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Funge ordinariamente da istanza superiore nel grado di appello presso la Sede Apostolica per tutelare i diritti nella Chiesa; provvede all’unità della giurisprudenza e, attraverso le proprie Sentenze, è di aiuto ai Tribunali di grado inferiore (Praedicate evangelium, 200) | |||
Eretto | 1331 | ||
Decano | arcivescovo Alejandro Arellano Cedillo, C.O.R.C. | ||
Promotore di giustizia | mons. Tomasz Kubiczek | ||
Emeriti | mons. Pio Vito Pinto (decano emerito) | ||
Sede | Palazzo della Cancelleria, Piazza della Cancelleria, 1 - Roma | ||
Sito ufficiale | www.rotaromana.va | ||
dati catholic-hierarchy.org | |||
Santa Sede · Chiesa cattolica I dicasteri della Curia romana | |||
Il Tribunale della Rota Romana (in latino Tribunal Rotae Romanae, noto anche come Tribunale della Sacra Rota) è uno dei tre organismi giudiziari della Curia romana. È il tribunale ordinario della Santa Sede. Ha sede a Roma, nel Palazzo della Cancelleria, ma in antico ebbe sede anche nel Palazzo Farnese.
La storia della Sacra Rota prende le mosse dall'emanazione della bolla Ratio iuris emanata da Giovanni XXII il 16 dicembre 1331.[1]
Fonti vaticane reputano possibile che il suo nome derivi da un recinto di forma circolare intorno al quale in origine si disponevano gli "uditori" per valutare le istanze ed emettere le sentenze. Il primo uso registrato del termine "rota" si trova nelle Decisiones Rotae di Thomas Fastolf, relative a 36 casi giudicati ad Avignone tra il dicembre del 1336 e il febbraio del 1337[2].
Il numero dei cappellani uditori fu fissato ad un massimo di 12 da papa Sisto IV nel 1472, mentre la competenza del tribunale fu precisata nel 1747 da papa Benedetto XIV con la costituzione Iustitiae et pacis[3].
I giudici (uditori) di questo tribunale sono nominati dal Papa e costituiscono un collegio presieduto da un "decano", anch'egli nominato dal pontefice, il quale lo sceglie tra gli stessi giudici. Anticamente invece il decano era semplicemente l'uditore più anziano. Fino al 1870 poi erano alcuni stati e alcune città a proporre al pontefice la nomina degli uditori fra i doctores iuris celebres di specchiata moralità.[4]
Nel 1834, sotto papa Gregorio XVI, il tribunale funzionò come corte d'appello per lo Stato Pontificio, mentre furono sempre più spesso assegnate alle congregazioni le cause di foro ecclesiastico.
Dopo la presa di Porta Pia e l'occupazione di Roma del 1870, la Rota interruppe la sua attività. Il 29 giugno 1908 papa Pio X organizzò un nuovo tribunale recuperando l'antica denominazione di Rota.[5]
La Rota giudica per turni di tre uditori (o videntibus omnibus) ed è essenzialmente un tribunale di appello: è competente per il foro esterno (in materia di cause contenziose e criminali, escluse quelle riservate al papa) e la sua giurisdizione, che concerne sia i cittadini della Città del Vaticano sia i fedeli di ogni parte del mondo, si esercita:
Gli uditori attivi della Rota, con le rispettive date di nomina, sono i seguenti[6]:
Il Tribunale apostolico della Romana Rota si occupa soprattutto delle cause di nullità matrimoniale, che costituiscono la grande maggioranza delle cause discusse presso la Rota. Esse riguardano i matrimoni contratti con rito cattolico, fra due cattolici oppure fra un coniuge cattolico e uno ateo o di altra confessione. Il ricorso al tribunale della Rota per le cause di nullità matrimoniale è facoltativo in primo grado e in secondo grado (i fedeli possono infatti decidere di rivolgersi ai tribunali ecclesiastici del loro territorio); diventa obbligatorio solo dal terzo grado di giudizio in poi.
Comunemente si parla di "annullamento della Rota", o addirittura di "divorzio cattolico", ma tecnicamente si tratta di un "riconoscimento di nullità". Infatti secondo la dottrina cattolica il sacramento del matrimonio è uno e inscindibile e pertanto il diritto canonico nega possano sussistere cause a questo riguardo di annullamento o risoluzione.
In Italia la dichiarazione di nullità del matrimonio religioso non comporta l'immediato annullamento del matrimonio civile, perché lo Stato italiano deve accogliere la sentenza ecclesiastica attraverso una procedura detta delibazione disciplinata dal codice di procedura civile dall'art. 796 e seguenti. Tali articoli risultano oggi abrogati ma, in realtà, trovano ugualmente applicazione proprio in relazione alle sentenze provenienti dai Tribunali ecclesiastici in virtù della prevalenza degli accordi internazionali (i Patti Lateranensi e gli Accordi del 1984 di Villa Madama hanno tale natura e sono stati ratificati con legge) rispetto alle disposizioni della legge n. 218/95, così come stabilito dall'art. 2 della legge stessa. Questo nonostante la procedura di delibazione sia più sfavorevole rispetto alle disposizioni della legge n. 218/95 sugli effetti delle sentenze straniere in Italia. La suddetta istanza di delibazione dev'essere inoltrata presso la Corte d'appello competente per territorio, che va individuata in quella nel cui distretto si trova il Comune dove fu trascritto il matrimonio stesso, e dev'essere necessariamente sottoscritta da un avvocato. Ai fini della valida ammissione dell'istanza, i requisiti prescritti si basano sull'esistenza dei seguenti presupposti: la presenza delle due conformi decisioni giudiziali emanate in ambito ecclesiastico, dichiarative della nullità del matrimonio e il decreto di esecutività rilasciato dal Supremo tribunale della Segnatura Apostolica attraverso il quale, secondo il diritto canonico, si attesta l'esecutività della sentenza ecclesiastica di nullità.[8]
La delibazione (o riconoscimento) in taluni casi particolari può essere negata. Ad esempio per quelle cause di nullità valide per il diritto canonico ma che non sono riconosciute dall'ordinamento italiano; sono fra questi casi le dispense pontificie per matrimonio "rato e non consumato",[9] poiché la consumazione non rileva ai fini del diritto italiano o almeno non rileva in termini generici ma va verificata nei suoi contesti attraverso specifico rito di magistratura italiana, al punto da impedire la ricezione automatica di una dispensa. Il matrimonio non consumato è, infatti, per l'ordinamento italiano motivo per cui chiedere lo scioglimento del matrimonio/cessazione degli effetti civili del matrimonio ai sensi della legge sul divorzio del 1970.
Come acclarato dalla Corte di cassazione italiana,[10] infatti, già altra corte[11] aveva chiarito che restano inapplicabili le disposizioni della nuova normativa, nella parte in cui esse consentirebbero l'efficacia immediata e diretta della decisione straniera, senza adottare lo speciale procedimento giurisdizionale previsto per le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici (art. 8, comma 2, l. 25 marzo 1985, n.121).[12]
Inoltre la dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario produce gli effetti del cosiddetto matrimonio putativo di cui all'art. 128 c.c.
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