Nel mondo di oggi, Porto franco (economia) è diventato un argomento di grande rilevanza e interesse per un'ampia varietà di persone. Che sia per il suo impatto sulla società, per la sua rilevanza storica, per la sua influenza sulla cultura popolare o per la sua importanza in campo accademico, Porto franco (economia) ha catturato l'attenzione di un vasto pubblico. Nel corso degli anni ha acceso dibattiti, generato ricerche e dato origine a diverse teorie che tentano di spiegarne il ruolo e il significato in diversi contesti. In questo articolo esploreremo da vicino Porto franco (economia) e cercheremo di comprendere le sue varie sfaccettature e il suo profondo impatto sul mondo moderno.
Un porto franco, zona franca, o anche zona economica libera o extra-doganale, è un territorio delimitato di un paese dove si gode di alcuni benefici tributari, come l'esenzione da dazi di importazione di merci o l'assenza di imposte.
Sono inoltre da considerarsi zone extra-doganali gli spazi terrestri compresi fra due dogane, dove a volte sorgono dei "duty-free shop". Si distingue tra "zona franca extra-doganale" (ad esempio Livigno, e fino al 1º gennaio 2020 anche Campione, in Italia) e "zona franca di diritto comunitario" (esempi in Italia sono il porto franco di Trieste e il porto franco di Venezia).[1]
Storia
Montesquieu riteneva che i porti franchi fossero un fenomeno repubblicano, poiché i "costi della monarchia" non permettevano uno sgravo delle imposizioni.[2]
La riflessione tardomercantilista poi riteneva che togliere la barriera daziaria non fosse sufficiente a rendere un porto franco, nonostante tutti i porti franchi abbiano come caratterista principale proprio tale barriera daziale. Per questo ritenne che nella definizione di porto franco dovesse rientrare non solo il fattore dell'economia (poiché defiscalizzazioni sono provenute anche da porti non franchi), ma anche la politica di libertà: porto franco non sarebbe libertà di importare ed esportare beni liberi da dazi, ma una gestione non militare degli affari, senza ufficiali supportati dalla forza militare, bensì rappresentanti civili che pensano secondo gli stessi interessi dei mercanti, senza intromissioni. Questa giustizia dolce garantirebbe il possesso delle merci al proprietario, e attirerebbe flotte di gente per sottrarsi da terrori e persecuzioni.
Molti governi stabiliscono zone franche in regioni appartate o estreme con il fine di attrarre capitale e promuovere lo sviluppo economico della regione. Nelle zone franche avviene solitamente la creazione di grandi centri commerciali e si installano con frequenza anche industrie di cosmetici o magazzini speciali per le merci in transito.
Utilizzo del termine
L'analogia del nome zona franca, utilizzata peraltro anche per definire la zona extradoganale, con porto franco deriva da alcuni porti liberi conosciuti da moltissimo tempo: i porti liberi da dazi doganali o con regolamentazione dei tassi favorevoli; ad esempio, il porto franco di Trieste. Spesso i porti franchi fanno parte delle zone economiche libere.
In passato molti porti italiani godettero di franchigie doganali sulle merci transitanti per favorirne lo sviluppo economico della città portuale. Con l'Unità italiana, una legge di Stato abolì i porti franchi nel 1868, per eliminare le sperequazioni tra i cittadini italiani abitanti nelle città franche e quelli residenti fuori di esse.
Zone franche urbane (Zfu)
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Livigno non fa parte dell'area doganale comunitaria europea: è zona franca doganale extraterritoriale (porto franco integrale).
Campione d'Italia era compresa nell'area doganale svizzera: l'Italia considerava Campione come non facente parte del suo territorio doganale[3] e così pure l'Unione europea[4] mentre la Svizzera contemplava il territorio del Comune come facente parte della propria area doganale. Dal 1º gennaio 2019 l'Italia ha modificato la posizione doganale di Campione d'Italia.[5] A decorrere dal 1º gennaio 2020 Campione è zona doganale comunitaria europea e non gode più della extraterritorialità.[6][7]
Valle d'Aosta (stabilito dall'articolo 14 dello statuto speciale per la Valle d'Aosta ma mai attuato[senza fonte]): non riconosciuto dall'Unione europea.
Sardegna (stabilito dall'articolo 12 dello statuto speciale della Sardegna e dal D.lgs. 75/1998): esclusivamente per le Regioni Convergenza e Carbonia-Iglesias e ai comuni della Provincia, ai Comuni colpiti dall'alluvione del 2013 e nelle città portuali di Cagliari, Iglesias e Quartu Sant'Elena. L'Unione europea riconosce la zona franca di Carbonia-Iglesias con la zona franca doganale di Portovesme.[8][9]
Gorizia (solo il territorio cittadino sulla sponda destra del fiume Isonzo)[senza fonte]: non era zona franca in senso stretto;[10] c'era solamente un territorio (limitato e ben individuato) che godeva di alcune agevolazioni fiscali su alcuni beni (benzina, gasolio, caffè, zucchero) concessi con buoni o tessere e contingentati nella quantità. Questa tipologia di agevolazioni fiscali risulta oggi essere stata cancellata.[11]
La normativa statunitense esclude dall'imposizione fiscale le attività di importazione, produzione, trasporto e stoccaggio, riesportazione di prodotti realizzati entro il perimetro dell'area extra-doganale.[14] Per le attività di stoccaggio, non sono previsti limiti temporali di permanenza.