Nel mondo contemporaneo, Paracarro è diventato un argomento di costante interesse e dibattito. La sua rilevanza copre molteplici ambiti, dalla tecnologia alla cultura, compresa l’economia e la politica. Paracarro ha catturato l'attenzione di persone di tutte le età e ha generato opinioni contrastanti. In questo articolo esploreremo diverse prospettive su Paracarro e analizzeremo il suo impatto sulla società odierna. Dalle sue origini alle sue possibili conseguenze a lungo termine, approfondiremo un'analisi profonda e rigorosa per comprendere meglio questo fenomeno oggi così onnipresente.
Il paracarro è un elemento in pietra, cemento o plastica, di forma variabile (cilindrica, parallelepipeda, troncoconica), collocato al margine di una via per delimitarne la carreggiata. Il suo scopo è quello di segnalare e proteggere edifici (ma anche viadotti, fossati, alberi, muriccioli) indicandone la presenza agli automobilisti al fine di salvaguardarne l'incolumità.
Il paracarro, se integro, è ben visibile anche da lontano e nelle ore notturne, perché verniciato in bianco-nero e dotato di catarifrangenti.
I paracarri furono in uso già molto prima dell'invenzione dei veicoli a motore. Tra le prove di ciò si può ricordare il celebre sonetto di Carlo Porta, del 1814, Paracar che scappee de Lombardia, in cui i militari francesi venivano chiamati con l'appellativo di "paracarri"[1] per un'analogia tra la forma dei paracarri e quella dai loro vistosi copricapi[senza fonte].
Tra le opere del Museo all'aperto Bilotti, allestito nelle strade di Cosenza, vi sono delle sculture di Pietro Consagra intitolate i Paracarri.
Il termine "paracarro", nel senso di elemento architettonico stradale fermo e inamovibile, è stato utilizzato in maniera polemica in Formula 1 da Flavio Briatore, nei confronti del pilota Jenson Button[2]. Da quel momento il termine, nell'ambito del giornalismo motoristico, è diventato di uso comune per descrivere un corridore non particolarmente veloce, anche se spesso in maniera antitetica rispetto al significato originale[3].