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«Perciò, fedele cristiano, cerca la verità, ascolta la verità, apprendi la verità, ama la verità, di' la verità, attieniti alla verità, difendi la verità fino alla morte: perché la verità ti farà libero dal peccato, dal demonio, dalla morte dell'anima e in ultimo dalla morte eterna.»
Jan Hus (AFI: ; Husinec, 1371 circa – Costanza, 6 luglio 1415) è stato un teologo e un riformatore religioso boemo; ordinato prete, divenne predicatore a Praga dando prova di vasta cultura filosofico-teologica, suoi argomenti principali erano l'accusa della corruzione del clero e la necessità di una riforma della vita morale di laici ed ecclesiastici..
Jan Hus viene considerato il primo anticipatore della Riforma protestante (iniziata circa un secolo dopo la sua morte), essendo vissuto prima di Lutero, Calvino e Zwingli[1][2]. Dopo la sua morte, gli Hussiti si schierarono in massa contro la corruzione e contro la Chiesa cattolica, respingendo ben cinque crociate bandite contro di loro[3]. Un secolo più tardi, il 90% degli abitanti delle Terre ceche continuò a rimanere anti-cattolico[4], aderendo alla Riforma protestante oppure entrando a far parte dell'Unione dei Fratelli Boemi, questi ultimi diretti successori del movimento hussita.
Giovane studente povero, giunse a Praga nel 1390 per studiare all'Università, dove erano vivi i fermenti del movimento riformatore boemo - fondato vent'anni prima fuori dell'Università ma oggetto di una repressione che aveva portato alla chiusura della scuola dei predicatori aperta da Jan Milič (1320/1325-1374) nel 1372 - che si proponeva il rinnovamento della chiesa attraverso il ritorno a un pauperistico cristianesimo primitivo e all'attesa del prossimo Nuovo Regno. Milič, che aveva individuato nell'eccessiva ricchezza accumulata dalla chiesa avignonese e romana una delle cause più importanti del decadimento dei costumi ecclesiastici, aveva inutilmente cercato di premere sulle gerarchie; sospettato di eresia e convocato ad Avignone per essere esaminato, vi era morto nel 1374. La sua dottrina fece proseliti e nel maggio del 1391 fu fondata a Praga la Cappella di Betlemme, una nuova scuola ove si predicava in lingua boema e si ospitavano studenti universitari.
Nel 1393 Hus ottenne il baccellierato in filosofia, nel 1395 si laureò magister in artibus e nel 1398 iniziò a insegnare Filosofia nella stessa Università praghese; ordinato sacerdote nel 1400, continuò a studiare Teologia con Stanislao da Znojmo e dal marzo del 1402 predicò per la prima volta nella "Cappella di Betlemme". Fu un suo avversario, l'agostiniano norimberghese Oswald Reinlein, a lasciare una testimonianza della sua attività: «Le sue prediche erano frequentate dalla quasi totalità della popolazione praghese; nella Cappella di Betlemme egli predicava due volte nei giorni festivi e ancora due volte nel periodo di Quaresima. In tutti gli altri giorni teneva due lezioni e tre discorsi la domenica. Per i poveri che gli venivano raccomandati Hus chiedeva elemosine ai suoi conoscenti; usava invitare a tavola i maestri e ricevere con amore e bontà ogni visitatore».
Nei primi anni Hus si limitò a riportare quanto contenuto nelle Sacre Scritture ma in breve cominciò, nelle sue prediche, a richiedere una riforma dei costumi ecclesiastici.
Hus conobbe le opere di Wyclif (ca 1329 - 1384) verso il 1398. Il doctor evangelicus inglese considerava la gerarchia ecclesiastica romana profondamente corrotta, infatti in quel periodo erano ben presenti tre papi, non avendo alcuna fiducia nelle possibilità di autoriforma delle autorità ecclesiastiche, sperava che una riforma della Chiesa si potesse ottenere attraverso un'iniziativa dei governi; condannato nel Concilio di Londra del 1382, i suoi scritti furono proibiti anche dall'Università di Praga nel 1403.
Jan Hus concordava pressoché in tutto con Wycliff (tranne che al riguardo della dottrina eucaristica, ove manteneva l'opinione ortodossa della transustanziazione) e, più ancora, vi concordavano i riformatori boemi, Stanislao da Znojmo e Stefano Páleč i quali infatti, convocati a Bologna per discolparsi del loro appoggio all'eresia wyclifiana, furono incarcerati e percossi su ordine del cardinale Baldassarre Cossa, futuro papa, ma poi considerato antipapa, Giovanni XXIII. Dopo quell'esperienza, il Páleč rientrò prontamente nei ranghi dell'ortodossia romana e divenne poi uno degli accusatori di Hus.
La Chiesa era allora divisa dallo Scisma d'Occidente, con un papa, Benedetto XIII, ad Avignone e un altro, Gregorio XII, a Roma, eletto nel 1406. Per porre termine alla scissione, alcuni cardinali delle due fazioni avevano progettato d'indire un concilio a Pisa che eleggesse di comune accordo un nuovo papa, ponendo termine alla divisione.
Di fronte alla scissione, Hus era favorevole a mantenere una posizione di neutralità, in attesa che il futuro concilio dirimesse lo scisma. Analogo atteggiamento fu deciso dal re boemo Venceslao IV, diversamente dall'arcivescovo di Praga Zajíc Zbynek, che insisteva sulla necessità di obbedire al papa di Roma. Sospettando in Hus un seguace di Wyclif, l'arcivescovo costituì una commissione, presieduta dall'inquisitore Maurizio Rvačka, incaricata di valutarne l'ortodossia.
Intanto, una riforma dell'amministrazione dell'Università di Praga, decisa da re Venceslao, rovesciava la norma vigente fino ad allora, in cui fra gli elementi nazionali lì rappresentati, quello tedesco aveva diritto a tre voti e ogni altro ad uno, attribuendo ora tre voti all'elemento nazionale boemo e uno a ciascun altro. In seguito a questa riforma, nel maggio 1409 i docenti e gli studenti tedeschi abbandonarono Praga per stabilirsi soprattutto a Lipsia, dove fu fondata una nuova Università, mentre a ottobre, grazie ai nuovi statuti, il boemo Hus poté essere eletto rettore dell'Università di Praga.
Il concilio di Pisa si era intanto concluso il 26 giugno 1409 con l'elezione di un nuovo papa, Alessandro V, non riconosciuto però da tutta la cristianità, cosicché ora risultavano in carica ben tre papi. A dicembre, Alessandro V firmava la bolla che, dopo aver nuovamente condannato gli scritti di Wyclif, autorizzò l'arcivescovo praghese a vietare a Hus di predicare, notifica comunicatagli solo nel giugno 1410, quando Alessandro V era già morto e gli era succeduto Giovanni XXIII
Hus decise di non obbedire e di appellarsi al papa; si rivolse ai fedeli nella Cappella di Betlemme: «Il defunto papa, di cui non saprei dirvi se si trova in paradiso o all'inferno, scriveva nelle sue pergamene contro gli scritti di Wyclif in cui vi sono pure molte cose buone. Io ho presentato appello e mi appellerò nuovamente Io devo predicare anche se un giorno dovessi lasciare il paese o morire in carcere. Poiché i papi possono mentire ma il Signore non mente».
Convocato a Roma per giustificare la propria posizione, Hus rifiutò con la protezione del re che, ambendo alla carica imperiale, voleva risolvere la disputa teologica per mostrare la propria autorità tanto nei problemi civili che in quelli religiosi. L'arcivescovo Zbynek bandì invano Hus il 15 marzo 1411 e altrettanto vanamente lanciò l'interdetto su Praga l'8 giugno: re Venceslao affidò a un collegio arbitrale la disputa tra l'arcivescovo e Hus e l'arbitrato stabilì che il bando e l'interdetto fossero rimessi e che Hus non fosse tenuto a presentarsi a Roma.
Intanto Giovanni XXIII aveva proclamato la "guerra santa" contro Ladislao, re di Napoli, sostenitore di Gregorio XII, e iniziato la raccolta dei fondi necessari alla guerra mediante la vendita delle indulgenze, ossia la remissione delle pene temporali in cambio di denaro. Anche il re boemo appoggiava l'iniziativa papale, dal momento che una percentuale del ricavato sarebbe finita nelle casse statali.
Le proteste di Hus, che riteneva ogni guerra santa incompatibile col messaggio evangelico, di Girolamo da Praga e di molti cittadini furono represse; lo stesso Stefano Páleč, divenuto dottore in teologia dell'Università, esortò il re a soffocare la protesta; tre giovani furono condannati e decapitati.
Hus si spinse oltre: sosteneva la tesi di Wyclif secondo la quale un predicatore poteva predicare senza il permesso del vescovo, dal momento che il dovere di annunziare il Vangelo è un comandamento di Cristo. Scomunicato alla fine del luglio 1412, il cardinale Pietro Stefaneschi, che presiedeva il processo ordinato dalla Curia romana, ne ordinò l'arresto e la demolizione della Cappella di Betlemme; il cardinale João Afonso Esteves da Azambuja recò a Praga l'atto di scomunica, promulgato nel sinodo della diocesi praghese il 18 ottobre 1412.
In risposta, Hus aveva già esposto, il 12 ottobre, sul ponte di Praga, nei pressi del palazzo arcivescovile, il suo "appello a Cristo", rivolto da «Jan Hus da Husinec, maestro e baccelliere formato in teologia presso la illustre Università di Praga, sacerdote e predicatore titolare della Cappella detta di Betlemme a Gesù Cristo, giudice equo il quale conosce, protegge, giudica, rivela e corona immancabilmente la giusta causa di ognuno».
Sottolineava la legittimità del suo ricorso «per l'ingiusta sentenza e la scomunica comminatami dai pontefici, scribi, farisei, e giudici insediatisi sulla cattedra di Mosè come il santo e grande patriarca di Costantinopoli Giovanni Crisostomo presentò ricorso alla sentenza di due Concili di vescovi e chierici e così come i vescovi, spero beati, Andrea di Praga e Roberto di Lincoln presentarono ricorso contro la sentenza del papa ».
Ricordava che, convocato, non si presentò a Roma perché «Lungo la strada mi erano tese ovunque insidie e il pericolo corso da altri mi rese prudente» citando il trattamento riservato a Bologna ai suoi procuratori Stanislao da Znojmo e Stefano Páleč, e menzionava il concordato raggiunto con l'arcivescovo di Praga Zbynek, al quale «non era noto in tutto il regno di Boemia un solo eretico e nemmeno nella città di Praga e nel Margraviato di Moravia».
Concludeva come, a suo avviso, «tutte le antiche leggi divine dell'Antico e del Nuovo Testamento, nonché le leggi canoniche dispongano che i giudici debbano visitare i luoghi dove si dice che sia stato commesso un delitto ed ivi esaminare l'accusa fatta debbano rivolgersi a quelli che conoscono la condotta dell'accusato che non siano malevoli né gelosi verso di lui poiché l'incolpato o accusato deve avere sicuro e libero accesso al luogo di giustizia e il giudice, come i testimoni, non debbano essere suoi nemici: è dunque evidente che non sussistevano queste condizioni per farmi comparire in giudizio».
All'ordine del re di non predicare, in un primo momento obbedì ma qualche settimana dopo riprese le sue prediche nei paesi della Boemia. Nel 1413 concluse quello che resta il suo scritto più noto, il De ecclesia, e scrisse Sulla simonia e la raccolta di sermoni Postilla.
Dopo il fallimento del Concilio di Pisa nel 1409, il re d'Ungheria Sigismondo di Lussemburgo (che l'8 novembre 1414 sarebbe poi stato incoronato Re dei Romani) convocò il 30 ottobre 1413 un nuovo concilio, da tenersi a Costanza il 1º novembre 1414, che affrontasse il problema dell'unità della Chiesa, eleggendo un nuovo papa, e che combattesse la corruzione ecclesiastica e ponesse fine alle dispute dottrinali, affrontando anche il caso Hus. A questo scopo Hus fu sollecitato a raggiungere Costanza, con la garanzia dell'incolumità. Hus partì per Costanza l'11 ottobre, sostando a Norimberga, a Ulma e a Biberach, e giungendo nella città tedesca il 3 novembre.
Il 27 novembre, invitato a un incontro amichevole dai cardinali Pierre d'Ailly, Ottone Colonna, prossimo papa Martino V, Guillaume Fillastre e Francesco Zabarella, fu da loro fatto subito arrestare e incarcerare. In carcere, il 4 marzo 1415, terminò di scrivere un opuscolo dedicato al suo carceriere, il De matrimonio ad Robertum.
Il 20 marzo l'Antipapa Giovanni XXIII, sul quale erano insistenti le accuse di corruzione, fuggì da Costanza e venne dichiarato decaduto in quanto simoniaco, mentre il secondo papa, Gregorio XII, si dimise spontaneamente; quanto al terzo papa, Benedetto XIII, verrà poi deposto dal concilio il 26 luglio 1417 come scismatico ed eretico.
Ad aprile giunse a Costanza il discepolo di Hus, Girolamo da Praga, per ottenere da Sigismondo la liberazione del suo maestro, ma il Concilio rispose con un mandato di cattura; Girolamo fuggì, ma venne arrestato alla frontiera bavarese: sarà mandato al rogo il 30 maggio 1416.
Il 18 maggio 1415 venne intimato a Hus di ritrattare le sue affermazioni, considerate eretiche; ottenne un'udienza pubblica, da tenersi il 5 giugno, ove poter dimostrare l'ortodossia delle sue dottrine, ma gli venne impedito di parlare. Interrogato nei giorni successivi, alla presenza di Sigismondo, dai cardinali Zabarella e d'Ailly, che gli contestavano alcune tesi, in particolare quella secondo cui un re, un papa o un vescovo in peccato mortale decadono dalla loro carica e quella della dubbia necessità di un capo visibile della Chiesa, dal momento che solo Cristo è alla testa della comunità cristiana, rispose che con la deposizione di Giovanni XXIII la Chiesa continuava a essere retta da Cristo e rifiutò di abiurare.
Il 18 giugno 1415 il Concilio di Costanza ratificò un elenco di 30 accuse contro Hus, proposizioni considerate eretiche tratte da tre sue opere, il De ecclesia, il Contra Stephanum Palec e il Contra Stanislaum de Znoyma, dandogli tempo due giorni per contestarle. Si riportano le accuse e, in corsivo fra parentesi, le note di Hus:
La frase è tratta dal De ecclesia. Qui e altrove, per "predestinati" s'intendono gli eletti, coloro che si salveranno, e per "preconosciuti" i dannati nell'ultimo giudizio. Con la sua precisazione, Hus voleva escludere l'interpretazione, che gli si sarebbe voluta attribuire, di concepire la chiesa militante costituita solo da predestinati.
Per Hus solo Cristo è il capo della chiesa universale; rifacendosi ad Agostino, (Retractationes, I, 21, 1) e allo Pseudo-Agostino (Questiones Veteris et Novi Testamenti, 75) nel De ecclesia Hus scriveva «che Cristo abbia inteso fondare l'intera chiesa sulla persona di Pietro è contraddetto dalla fede nel Vangelo, dall'argomentazione di Agostino e dalla ragione». Agostino aveva scritto che «Tu es Petrus (Mt, 16, 18-19)» significava «Edificherò la mia chiesa sopra ciò che è stato confessato da Pietro quando diceva "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"». Infatti a Pietro non fu detto "Tu sei la pietra" ma "Tu sei Pietro". La pietra era invece il Cristo confessato da Simone» ("Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam", dove il dimostrativo hanc si riferisce appunto a Cristo). L'interpretazione di Agostino fu però presto abbandonata e sarà ripresa da John Wyclif, Hus e poi da Lutero e dagli altri riformatori protestanti.
Hus precisò nell'udienza dell'8 giugno 1415 nel Concilio di Costanza che quei sacerdoti «ragionano da miscredenti perché mancano di fede formata dalla carità e hanno ormai una fede morta».
Tratto dal De ecclesia, tranne l'ultima affermazione «neppure il romano pontefice » che non esiste né nel De ecclesia né in altri testi di Hus.
Per Hus esistevano diverse chiese cristiane e quella romana è solo una di esse.
Tratto dal De ecclesia che a sua volta lo riprende dal De potestate papae di Wyclif.
Fu un episodio avvenuto nel 1413: gli otto dottori dell'Università di Praga consideravano la chiesa costituita da un capo, il papa, e da un corpo, il collegio dei cardinali; per loro, la chiesa era infallibile e di autorità stabiliva il senso autentico delle Scritture.
L'articolo, tratto dal De ecclesia, è una citazione dal De officio regis di Wyclif. Hus distingue tre tipi di obbedienza: l'obbedienza "spirituale" alla legge di Dio, l'obbedienza "secolare" alle leggi civili e l'obbedienza "ecclesiastica" ai precetti della chiesa che non hanno fondamento sulla Scrittura.
Tratto dal De ecclesia, Hus richiamava il suo passo da Luca, 11,34: «Se il tuo occhio - la tua intenzione - è sano, non è depravato dal peccato, anche il tuo corpo - tutti i tuoi atti - è illuminato, puro al cospetto di Dio».
Hus giustificava la sua disubbidienza con la preminenza data a Dio piuttosto che agli uomini: il cristiano ha diritto di giudicare se un ordine della chiesa proveniva da Dio piuttosto che da uomini.
Tratto dal Contra Stephanum Páleč, ove Hus citava Paolo, Romani, 8,35, 8,38, 8,39.
Tratto dal Contra Stephanum Páleč; il problema consisteva in ciò: se un papa malvagio resti papa in quanto la sua carica è indipendente dall'indole della persona - come sostenevano Paleč e i difensori delle prerogative papali - oppure se un papa malvagio non possa essere considerato papa e sia stata legittima la decisione del Concilio di Costanza di deporre Giovanni XXIII. Hus sostiene la seconda ipotesi.
Qui Hus faceva riferimento alla deposizione di Giovanni XXIII, deposto dallo stesso Concilio per indegnità, benché la sua elezione fosse stata legittima.
In realtà Hus sosteneva che 5 delle 45 proposizioni di Wyclif condannate dal Concilio di Costanza il 4 maggio 1415 fossero ortodosse.
Con "Agnese", Hus si riferisce alla "papessa Giovanna", la cui leggenda era allora considerata ancora un fatto storico.
Tratto dal Contra Stanislaum di Hus, come i due successivi capi d'accusa.
Nella Relazione di Pietro Mladonovic si legge che quando, l'8 giugno 1415 fu letta questa proposizione nell'assise del Concilio, i presenti derisero Hus accusandolo di fare profezie. Hus rispose sostenendo che «al tempo degli apostoli la chiesa era governata infinitamente meglio di adesso. Che cosa impedisce a Cristo di reggerla meglio anche ora, senza quei capi mostruosi che ora abbiamo avuto, mediante suoi discepoli veri? Vedete! Ora non abbiamo nessun capo, eppure Cristo non cessa di reggere la sua chiesa».
La proposizione, tratta dal Contra Stephanum Páleč di Hus, apparteneva a quelle di Wyclif condannate dal Concilio ma era considerata corretta da Hus.
Il 23 giugno scrisse dal carcere all'amico Giovanni di Chlum: «Devi sapere che Páleč insinuò che non dovrei temere la vergogna dell'abiura, ma considerare invece il vantaggio che ne deriverebbe. E io gli risposi: "È più vergognoso essere condannato e bruciato che abiurare? In che modo potrei temere la vergogna? Ma dimmi il tuo parere: che cosa faresti tu se fossi certo di non essere incorso negli errori che ti sono imputati? Abiureresti?" E lui rispose: "È difficile". E si mise a piangere».
Il 5 luglio scrisse agli amici boemi: «Se mi dessero carta e penna, con l'aiuto di Dio, risponderei anche per iscritto: Io, Jan Hus, servo di Gesù Cristo in speranza, non intendo dichiarare che ogni articolo ricavato dai miei scritti sia errato, per non condannare i detti delle sacre Scritture e specialmente di Agostino».
Il giorno dopo, nel duomo di Costanza, fu dichiarato colpevole. La Relatio de Magistro Johanne Hus, stilata da Pietro Mladonovic, testimone di quella drammatica giornata, riporta vivamente i fatti.
«Fu eretto un palco simile a un tavolo nel mezzo dell'assemblea e della chiesa. Vi si pose sopra una specie di piedistallo, su cui furono sistemati i paramenti, la pianeta per la messa e gli abbigliamenti sacerdotali appositamente per procedere alla svestizione di mastro Jan Hus. Così, quando fu condotto in chiesa nei pressi del palco, cadde in ginocchio e pregò a lungo. Contemporaneamente, il vescovo di Lodi salì sul pulpito e pronunciò un sermone sulle eresie ».
Il revisore pontificio, Bernardo di Wildungen, lesse poi i capi d'accusa estratti dai suoi scritti, ai quali Hus cercò di replicare, ma gli fu imposto di tacere. Si lessero poi i capi d'accusa estratti dalle dichiarazioni rilasciate dai testimoni ascoltati al processo; «fra questi articoli c'era quello secondo cui, dopo la consacrazione dell'ostia, sull'altare permane il pane materiale o la sostanza del pane. Ve n'era anche uno per cui un prete in peccato mortale non può operare la transustanziazione, né consacrare, né battezzare ». Hus riuscì a rispondere di non aver «mai sostenuto, insegnato o predicato che nel sacramento dell'altare, dopo la consacrazione, permanga il pane materiale».
Lo accusarono anche di aver sostenuto di essere, lui, «la quarta persona della Deità. Tentavano di comprovare quest'accusa, citando un certo dottore. Ma il maestro gridò: "Nominate il dottore che ha deposto contro di me!". Al che, il vescovo che stava dando lettura della cosa rispose: "Non c'è alcun bisogno di nominarlo, qui e ora"».
Fu poi condannato il suo appello a Cristo e l'aver egli, scomunicato, continuato a predicare. Il vescovo italiano di Concordia lesse poi della sua condanna al rogo, unitamente a tutti i suoi scritti. «Mentre procedeva la lettura della sentenza, egli l'ascoltava in ginocchio e in preghiera con gli occhi levati al cielo "Signore Gesù Cristo, io t'imploro, perdona tutti i miei nemici per amore del tuo nome. Tu sai che essi mi hanno accusato falsamente, che hanno prodotto falsi testimoni, che hanno orchestrato falsi capi d'accusa contro di me. Perdonali, per la tua sconfinata misericordia"».
Rivestito di paramenti sacri, fu invitato ad abiurare, ma rifiutò. Disceso dal palco, «i vescovi cominciarono subito a spogliarlo. Prima gli tolsero di mano il calice, pronunciando questo anatema: "O Giuda maledetto, perché hai abbandonato la via della pace e hai calcato i sentieri dei giudei, noi ti togliamo questa coppa della redenzione" e così di seguito, ogni volta che gli toglievano uno dei paramenti, come la stola, la pianeta e tutto il resto, pronunciavano un anatema appropriato. Al che egli rispondeva di accogliere quelle umiliazioni con animo mansueto e lieto per il nome del nostro Signor Gesù Cristo».
Annullatagli la tonsura, gli posero sulla testa una corona di carta tonda, alta circa 45 centimetri, con tre diavoli dipinti e la scritta "Questi è un eresiarca". «A questo punto il re disse al duca Lodovico, figlio del defunto Clemente di Bavaria, che in quel momento gli stava di fronte, tenendo in mano il globo con la croce: "Va', prendilo in consegna!"». E costui ricevette in custodia il maestro e a sua volta lo diede nelle mani dei suoi aguzzini perché fosse condotto a morire».
Portato fuori dalla chiesa, il corteo passò davanti al cimitero dove si stavano bruciando i suoi libri ed egli sorrise a quello spettacolo. Lungo la strada, «esortava gli astanti e quelli che lo seguivano a non credere che egli andasse a morire per gli errori che gli erano stati falsamente attribuiti e appoggiati dalla falsa testimonianza dei suoi peggiori avversari. Quasi tutti gli abitanti di quella città lo accompagnavano in armi a morire»
Giunto sul luogo del supplizio, che si trovava in un prato circondato da giardini - ora corrispondente alla Alte Graben Straße - s'inginocchiò e, mentre pregava, «quella scandalosa corona, raffigurante i tre demoni, gli cadde dalla testa ed essendosene accorto, sorrise. Alcuni dei soldati mercenari, che stavano lì intorno, dissero: "Rimettetegliela su; che sia bruciato coi demoni suoi signori che ha servito in terra"».
Denudato, le mani legate dietro la schiena, fu legato a un palo con funi e con una catena intorno al collo. Gli misero sotto i piedi due grandi fascine di legna mista a paglia e altre intorno al corpo fino al mento. Esortato ancora ad abiurare, «levati gli occhi al cielo, replicò ad alta voce: "Dio m'è testimone che mai insegnai le cose che mi sono falsamente attribuite e di cui falsi testimoni mi accusano. Egli sa che l'intenzione dominante della mia predicazione e di tutti i miei atti e dei miei scritti era solo tesa a strappare gli uomini dal peccato. E oggi sono pronto a morire lietamente"».
Allora si accese il rogo. Hus cominciò a cantare, uno dopo l'altro, due inni «ma come egli cominciò a cantare il terzo inno, una folata di vento gli coperse il volto di fiamme. E così, pregando nell'intimo, muovendo appena le labbra e scuotendo il capo, spirò nel Signore. Prima di morire, mentre pregava in silenzio, sembrò balbettare giusto il tempo sufficiente a recitare due o tre volte il "Padre nostro"».
Consumata la legna e le funi dal fuoco, «i resti di quel corpo rimasero in catene appesi per il collo; allora i boia tirarono giù le membra abbrustolite e il palo. Le bruciarono ulteriormente, portando altra legna al fuoco da un terzo carico. Poi, camminando torno torno, spezzarono le ossa a bastonate per farle bruciare più presto. Quando trovarono la testa, la fecero a pezzi con i randelli e la gettarono sul fuoco. Quando trovarono il cuore in mezzo alle interiora, dopo aver appuntito un bastone come uno spiedo, lo infilzarono sulla punta e fecero particolare attenzione a farlo arrostire e consumare, punzecchiandolo con le lance, finché non fu ridotto in cenere».
Bruciati anche scarpe e vestiti perché non potessero servire da reliquie, «caricarono tutte le ceneri su di un carro e le buttarono nel Reno che scorreva lì vicino».
Prima della sua esecuzione Hus avrebbe dichiarato: «Oggi voi bruciate una debole oca, ma dalle ceneri sorgerà un cigno» (Hus, infatti, in ceco significa "oca"). Più tardi gli agiografi intesero questa frase come una premonizione della venuta di Lutero e quindi assegnarono a quest'ultimo il cigno come simbolo. Johannes Bugenhagen citò questo riferimento nel suo discorso funebre che tenne in onore di Lutero il 22 febbraio 1546 nella chiesa del castello di Wittenberg[5]: «Potete bruciare un'oca, ma tra cent'anni arriverà un cigno che non sarete in grado di bruciare». Nel 1566 la battuta fu ripresa dal primo biografo di Lutero, Johannes Mathesius, come una delle autentiche profezie che dimostrano l'ispirazione divina della missione di Lutero[6].
L'elemento centrale del pensiero di Hus risiede nella nozione di verità. Realista nel senso della filosofia scolastica - la verità non è un'opinione, un concetto esistente unicamente nell'intelletto umano, ma ha una realtà indipendente dall'uomo, è la realtà delle cose - come cristiano, per Hus la verità è la testimonianza di Cristo il quale, in quanto Dio incarnato, in quanto uomo, è conoscibile dall'uomo. Dunque la verità è la testimonianza di Cristo, registrata nelle Scritture; ma Hus precisava che il cristiano deve rimanere costante nella fede e «nella conoscenza di questa triplice verità: prima, quella contenuta evidentemente nella Scrittura, poi quella che fu toccata dalla ragione infallibile e infine quella che il cristiano fece sua partendo dalla propria esperienza personale. Fuori di tale verità nulla deve essere affermato o riconosciuto come vero».
Sembra che le tre fonti di verità così elencate non siano concepite in contraddizione da Hus, per il quale la fede in Cristo dovrebbe trovare conferma nella ragione e questa nell'esperienza di ciascuno; la verità resta unica ma può essere comprensibile a chiunque: non ci sono uomini che ne siano i depositari e non può essere in contraddizione con la condotta di vita di ciascuno. Così la vita di Cristo è esemplare perché è espressione della verità da lui testimoniata e morì per averla espressa, così per difendere la verità ciascuno può sacrificare la propria vita.
La mancanza di verità non è semplice errore ma per Hus è menzogna e la lotta contro la menzogna è affermazione tanto del vero quanto del giusto, perché la verità non può che essere giustizia; è qui la radice rivoluzionaria che sarà colta dai suoi seguaci: si deve dare la vita per difendere la verità e affermare così la giustizia; tale elemento va unito alla concezione della Chiesa, ripresa da Wyclif, come insieme di tutti gli eletti, i predestinati, i quali, fatto salvo da Hus il libero arbitrio, sono tali in quanto guadagnano da Cristo, e non dagli uomini che pretendono di rappresentarlo, la propria salvezza.
L'adesione di Hus alle teorie di Wyclif appare nel suo Commento alle Sentenze, ove accettava il realismo filosofico dell'inglese in contrasto con l'orientamento nominalista dei teologi praghesi. Ma si differenziava nella dottrina eucaristica dove, nonostante le accuse mossegli dagli inquisitori, la sua interpretazione era ortodossa, mentre Wyclif negava la transustanziazione e affermava che il pane resta tale nella consacrazione e se l'inglese sosteneva l'assoluta illegittimità delle indulgenze, Hus si limitò a denunciarne gli abusi.
Di Wyclif condivideva invece la denuncia dello stato in cui versava la Chiesa, la corruzione degli ecclesiastici e la loro pretesa di essere insindacabili dai fedeli laici. Nel suo trattato De ecclesia mostrò la separazione esistente tra la chiesa gerarchica e istituzionale e la comunità dei cristiani uniti dalla fede e dall'osservanza dei precetti divini: quest'ultima, chiamata universitas praedestinatorum, era per Hus la vera chiesa santa e cattolica.
Iniziato a scrivere a Praga nel 1412, il De ecclesia fu terminato verso il maggio 1413 nel periodo della sua lontananza da Praga: inviato nella capitale per ricavarne diverse copie, il trattato fu diffuso l'8 giugno 1413 dalla Cappella di Betlemme.
Cristo è il capo della chiesa e a lui solo spetta il titolo di «sommo Pontefice». La chiesa universale è l'assemblea dei predestinati, che possiamo distinguere solo dal loro modo di vivere e dalle loro azioni: solo costoro possono essere considerati vescovi o pontefici. Chi non ha una condotta conforme a quella degli apostoli, non può essere legittimo detentore di una carica ecclesiastica e può e deve essere deposto; a costoro è lecito disubbidire e resistere.
Vi sono segni che mostrano l'indegnità della carica rivestita dagli ecclesiastici: «Il primo segno dell'indegnità del papa è quando, dimenticando la legge di Dio e i devoti testimoni dell'Evangelo, si dà tutto alle umane tradizioni il secondo segno è quando il papa e i prelati ecclesiastici, abbandonando la conversazione di Cristo, si immergono negli affari mondani. Il terzo segno è quando il papa mette a capo dei ministeri di Cristo i mercanti di questo mondo, e per le esigenze della vita mondana, tartassa le chiese povere.
Il quarto segno è quando, o per suo comando o perché degli inetti sono preposti alla cura pastorale, priva della Parola di Dio le anime che dovrebbe salvare l'uccisione e la perdizione delle pecorelle di Cristo sono i due peggiori peccati, per il fatto che la vivificazione per grazia e la glorificazione delle pecorelle sono i loro massimi beni, ai quali si oppongono l'uccisione e la distruzione è chiaro che coloro che uccidono le anime sono ministri dell'Anticristo e di Satana.
Da ciò si deduce che ribellarsi al papa che travia è obbedire al Cristo Signore: cosa che frequentemente avviene, quando si tratta di provvedimenti che risentono di interessi personali. Perciò chiamo a testimone tutto il mondo che la distribuzione dei benefici da parte del papa semina dappertutto mercenari nella chiesa, gli dà occasione di gonfiare esageratamente la sua potestà vicaria, di dar troppo valore alla dignità mondana, di voler ostentare una falsa santità».
Tomáš Masaryk usò il nome di Hus nel suo discorso all'Università di Ginevra il 6 luglio 1915, per la difesa contro l'Austria e nel luglio 1917 per il nome del primo corpo di truppe delle sue legioni in Russia[7].
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