Nel mondo di oggi, Basilica di Santa Maria Maggiore è diventato un argomento di grande rilevanza e interesse per la società in generale. Fin dalla sua nascita, Basilica di Santa Maria Maggiore ha catturato l'attenzione di persone di ogni età e profilo, generando dibattito e riflessione attorno ai suoi diversi aspetti. Che sia per il suo impatto sulla cultura, per la sua rilevanza in campo scientifico o per la sua influenza sulla storia dell'umanità, Basilica di Santa Maria Maggiore è riuscito a trascendere confini e generazioni, diventando un argomento fondamentale che continua a suscitare interesse e curiosità. In questo articolo esploreremo a fondo i diversi aspetti legati a Basilica di Santa Maria Maggiore, approfondendone il significato, l'importanza e l'impatto nel mondo contemporaneo.
Basilica Papale di Santa Maria Maggiore | |
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La facciata della basilica | |
Stato | Italia |
Regione | Lazio |
Località | Roma |
Indirizzo | Piazza di Santa Maria Maggiore, 00100 Roma RM |
Coordinate | 41°53′51″N 12°29′55″E |
Religione | cattolica di rito romano |
Titolare | Madonna della Neve |
Diocesi | Roma |
Consacrazione | V secolo |
Fondatore | papa Sisto III |
Architetto | Ferdinando Fuga |
Stile architettonico | Paleocristiano barocco |
Sito web | www.basilicasantamariamaggiore.va/it.html |
La basilica papale di Santa Maria Maggiore o basilica Liberiana, è una delle basiliche papali di Roma, situata in Piazza dell'Esquilino, sulla sommità dell'omonimo colle. Situata sul culmine del Cispio, tra il Rione Monti e l'Esquilino.
A capo del Capitolo è stato nominato nel 2016 arciprete della Basilica il cardinale Stanisław Ryłko. Dal 20 marzo 2024 il cardinale Rolandas Makrickas, fino ad allora Commissario Straordinario per la stessa Basilica Liberiana, è nominato arciprete coadiutore, con diritto di successione.[1] Dal 1º settembre 2024 il dott. Roberto Romano è Delegato per l’Amministrazione del Capitolo[2].
L'edificio della Basilica, comprese le scalinate esterne, costituisce area extraterritoriale a favore della Santa Sede. La basilica gode, insieme ad altri immobili e in base ad accordi tra Stato italiano e Santa Sede, del privilegio di extraterritorialità e dell'esenzione da espropriazioni e da tributi, come stabilito dai Patti Lateranensi e formalizzato nell'Accordo di Villa Madama[3][4].
Il Capitolo liberiano è presieduto dal cardinale arciprete e costituito dai canonici, tutti di nomina pontificia. Questo speciale collegio sacerdotale è integrato dai coadiutori, anch'essi di nomina pontificia e rappresentano assieme il clero preposto alla cura liturgica e amministrativa dell'intera basilica papale. Attualmente, l'arciprete della basilica è il cardinale Stanisław Ryłko, mentre l'arciprete coadiutore è l'arcivescovo Rolandas Makrickas.
Il protocanonico onorario è di diritto il re di Spagna.
La cura pastorale è affidata all'omonima e attigua parrocchia in San Vito, il cui clero afferisce alla basilica ed è responsabile al contempo della sacrestia per quanto riguarda la celebrazione dei sacramenti.[5]
Il servizio liturgico è assolto dall'Almo Collegio Capranica, il cui rettore è canonico onorario durante munere.
È un organismo costituito nel 1974 dal cardinale arciprete e dipendente dal capitolo, quale organismo a base associativa, volendo rappresentare un'aggregazione finalizzata al supporto morale e materiale della basilica, quale primo centro mariano al mondo e intorno cui convergere i fedeli, secondo il proprio stato di vita[6].
Edificata, secondo la tradizione, durante il pontificato di Liberio (352-366), fu ricostruita o ristrutturata da papa Sisto III (432-440), che la dedicò al culto della Madonna, la cui divina maternità era appena stata riconosciuta dal concilio di Efeso (431).[7]
Secondo la tradizione, la Madonna apparve in sogno a papa Liberio e al patrizio Giovanni, suggerendo di erigere una basilica in un luogo che sarebbe stato indicato miracolosamente. Così quando la mattina del 5 agosto un'insolita nevicata imbiancò l'Esquilino, Liberio avrebbe tracciato nella neve il perimetro della nuova basilica, costruita poi grazie al finanziamento di Giovanni. Di questo antico edificio rimane il ricordo solo in un passo del Liber Pontificalis che afferma che Liberio «fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae».
Ad ogni modo il 5 agosto di ogni anno, in ricordo di Nostra Signora della Neve, avviene la rievocazione del cosiddetto "miracolo della nevicata": durante la celebrazione della messa al mattino e del Vespro alla sera, viene a scendere dal centro del soffitto a cassettoni in corrispondenza della cripta della mangiatoia, una cascata di petali bianchi.
La chiesa precedente era dedicata alla fede nel Credo proclamato dal primo concilio di Nicea[7].
La basilica costruita da Sisto III a partire dall'anno 432 si presentava a tre navate, divise da 21 colonne di spoglio per lato, sormontate da capitelli ionici, sopra le quali correva un architrave continuo. La navata centrale era illuminata da 21 finestre per lato (la metà delle quali furono successivamente tamponate) ed era sormontata da una copertura lignea con capriate a vista.
«L’arte tentò forme nuove nell’arco trionfale della basilica di Santa Maria Maggiore eretto da Sisto III, dove pare echeggi la preghiera di Cirillo al concilio di Efeso contro l’eresia di Nestorio: « Salve, o Maria, madre di Dio, tesoro venerabile di tutto il mondo, lucerna che mai si spegne, fulgida corona della verginità, tempio indistruttibile, madre e vergine ad un tempo...Salve, o tu che nel tuo grembo hai portato l'infinito...» (Adolfo Venturi)[8]
La navata venne decorata sempre in età sistina da mosaici, entro pannelli collocati sotto le finestre, in origine racchiusi da edicolette, con un ciclo di storie del Vecchio Testamento: storie di Abramo, Giacobbe, Isacco sul lato sinistro, Mosè e Giosuè su quello destro. Degli originari quarantadue riquadri, molti dei quali presentavano due scene sovrapposte, ne restano 27 (12 sulla parete sinistra e 15 sulla destra) dopo le distruzioni dovute alle aperture laterali settecentesche.
Si tratta certamente del primo ciclo figurativo apparso in una chiesa romana. Le storie veterotestamentarie mostrano indubbie tangenze stilistiche con il cosiddetto "Virgilio Vaticano", manoscritto dell'Eneide conservato nella Biblioteca apostolica vaticana, e con la Bibbia detta Itala di Quedlinburg, ma sono stati notati anche legami con l'iconografia imperiale, secondo un processo di appropriazione dell'immagine e degli attributi visivi imperiali tipico dell'arte paleocristiana. Questi rapporti, nonché la disposizione non sempre cronologica delle scene e del tutto funzionale a ogni singolo episodio e a rispondenze ritmiche all'interno della serie, sottendono l'utilizzo di un piano figurativo appositamente studiato, forse addirittura dal giovanissimo Leone non ancora papa[9].
Queste storie presentano caratteri stilistici legati alla pittura tardoantica (una tradizione seicentesca che inizia con Ciampini voleva addirittura che fossero state realizzate nel IV secolo): ombreggiature, sfumature con passaggi di colore graduali, realistica raffigurazione dello spazio e dei volumi, macchie di colore, fondo cangiante in relazione al contrasto con le figure.
Più ieratiche e ritmicamente dilatate sono le scene dei mosaici dell'arco trionfale, rappresentanti alcuni momenti dell'Infanzia di Cristo. Altre tratte dai vangeli (Annunciazione, Presentazione al Tempio, Adorazione dei Magi, Incontro con il governatore Afrodisio, Strage degli innocenti, Re Magi presso Erode). In particolare, l'incontro con il governatore egiziano Afrodisio davanti alla città di Sotine, oltre ad essere un pendant visivo all'adorazione dei Magi sul lato opposto, è un episodio attestato solo in Santa Maria Maggiore, e tratto dai Vangeli apocrifi: Gesù, durante la fuga in Egitto, entra con i genitori nella città di Sotine, gli idoli pagani immediatamente cadono a terra e Afrodisio saluta il Bambino come Redentore. Alla sommità dell'arco, il Trono dell'Etimasia con una Croce, affiancato dai santi Pietro e Paolo, e sormontato dal Tetramorfo. Sotto compare un pannello, con l'iscrizione Xystus episcopus plebi Dei (Sisto vescovo al popolo di Dio), in lettere d'oro su fondo azzurro, che è la dedica del papa fondatore della basilica. Ai lati, le due città sante, Gerusalemme e Betlemme, all'interno delle quali si prolungano illusionisticamente i colonnati della basilica, a indicare in essa quasi un preludio alla Gerusalemme celeste.
Il disegno programmatico di questa decorazione sistina intendeva perciò riaffermare la divinità del Cristo incarnato nella Vergine, come ribadito nel recente Concilio di Efeso (431), e allo stesso tempo il primato della Chiesa romana nell'ecumene cristiano. La disposizione stessa delle scene veterotestamentarie, la scelta degli episodi dell'arco trionfale, la priorità delle rispondenze visive rispetto a quelle cronologiche, tutto converge nell'individuazione di una sorta di teologia visiva, di manifesto simbolico figurativo, che rappresentava una novità nel quadro della Roma di quegli anni cruciali del V secolo.
Risalivano alla metà del XII secolo, al tempo di papa Eugenio III, il pavimento cosmatesco, rifatto nei restauri del Fuga, e un portico addossato alla facciata (rimaneggiato sotto papa Gregorio XIII e poi distrutto nel Settecento per far posto alla nuova fronte barocca del Fuga).
La basilica fu oggetto di importanti interventi in vista del primo giubileo dell'anno 1300; in particolare durante il pontificato di Niccolò IV venne aggiunto il transetto e fu creata una nuova abside che venne decorata con ricchi mosaici realizzati da Jacopo Torriti (Incoronazione di Maria e Storie di Maria), datati 1295. Si tratta della prima Incoronazione della Vergine absidale. Seduta sullo stesso fastoso Trono e accanto al Redentore, Maria è abbigliata con abiti regali, tipici del modulo bizantino dell'epoca e anche specifici del culto mariano a Roma. Questo mosaico, sintesi fra modi orientaleggianti e spirito artistico romano, conclude una millenaria stagione di arte cristiano-bizantino-romana.
Alla stessa epoca risalgono i mosaici della facciata, opera di Filippo Rusuti, la cui commissione è da riferire al cardinale Pietro Colonna, e la realizzazione della cappella del Presepe di Arnolfo di Cambio (distrutta per far posto alla Cappella Sistina). Le figure superstiti del presepe sono oggi esposte nel museo della basilica.
Il campanile romanico è alto 75 metri[10], il più alto di Roma[10]. Costruito tra il 1375-1376[11], è stato, nei secoli, rialzato e completato sotto il cardinale Guglielmo d'Estouteville, arciprete della basilica fra il 1445 e il 1483, a cui si deve anche, per fini statici, la grossa volta a crociera di divisione tra la parte inferiore e il primo piano. Nei primi anni dell'Ottocento fu munito di un orologio. Vi troviamo ordini di doppie monofore e, nei piani successivi, bifore.
Il campanile accoglie un concerto di 5 antiche campane fuse da vari fonditori e epoche diverse, la 1ºrifusa da Lucenti nel??,la 2º da Guidotto Pisano nel 1289 e le altre 3 dei secoli XVI-XIX
Le note di esse sono:
Il campanile conservava anche la campana donata da Alfano, camerlengo di Callisto II (1119-1124), che, rimossa sotto Leone XIII, si conserva oggi nei Musei Vaticani.
La campana maggiore è detta "La Sperduta" e suona appena dopo le 21[10] ricordando una leggenda che risale al XVI secolo. Si racconta infatti che una pastorella, secondo alcune versioni cieca, si era persa nei prati che a quei tempi circondavano l'Esquilino, pascolando il suo gregge. Calata ormai la sera furono fatte suonare le campane della basilica di Santa Maria Maggiore perché i rintocchi la guidassero a casa. Sembra poi che effettivamente lei non tornò mai più, ma le campane continuano a chiamarla. Da qui il rito serale detto appunto della "Sperduta". Secondo un'altra tradizione a perdersi, invece di una pastorella, fu una pellegrina (o un distinto viaggiatore, secondo altre fonti) che, venendo a Roma a piedi, aveva perso la strada e aveva quindi pregato la Vergine chiedendo il suo aiuto. Subito udì i rintocchi della campana, seguendo i quali raggiunse la Basilica e quindi la salvezza. In ricordo del fatto la pellegrina lasciò una rendita affinché alle 2 di notte (trasformate alle 9 di sera nei tempi recenti) venisse perpetuamente suonata la campana[12].
Nel Quattrocento il cardinale Guglielmo d'Estouteville (1403-1483) fece coprire con volte le navate laterali, mentre la navata centrale fu decorata da un ricco soffitto a cassettoni realizzato su progetto attribuito all'architetto Giuliano da Sangallo, su commissione del cardinale Rodrigo Borgia, salito al soglio pontificio col nome di Alessandro VI. Il soffitto cassettonato, riccamente intagliato, presenta al centro lo stemma araldico del pontefice, riconoscibile per la presenza del toro. Ogni elemento scolpito ha dorature a foglia d'oro che, secondo la tradizione, furono realizzate con il primo oro giunto dalle Americhe (Perù) e donato dal sovrano spagnolo alla Chiesa.
Sisto V, grande protagonista della trasformazione urbanistica di Roma alla fine del XVI secolo, scelse la basilica come sede di fastosa sepoltura per sé medesimo, per la propria famiglia e per il suo grande protettore papa Pio V. A questo scopo incaricò il suo architetto Domenico Fontana, nel 1585, di erigere una nuova cappella monumentale, dedicata al Santissimo Sacramento, memorabile – oltre che per gli arredi e i materiali impiegati – perché integrava in sé l'antico oratorio del Presepe, con le sculture di Arnolfo, le connesse reliquie della mangiatoia e i rilievi realizzati dallo scultore Niccolò Fiammingo.[13]
L'intero piccolo ambiente venne così spostato dalla sua posizione originaria (come annesso della navata destra) al centro della nuova cappella sotto l'altare, in una nuova cripta dotata di deambulatorio, come una vera e propria confessione. Per l'ornamentazione della cappella furono fra l'altro utilizzati marmi policromi e colonne provenienti dal Settizonio, mentre la decorazione cosmatesca dell'antica cappella venne trasferita a rivestire l'altare della nuova confessione sotto l'altare papale, il quale è sormontato da un prezioso ciborio, in cui sono scolpiti quattro angeli in bronzo dorato (di Sebastiano Torrigiani) che sostengono il modello della cappella medesima. Sisto V fece anche eseguire un ciclo di affreschi sulle murature che tamponarono alcune delle finestre paleocristiane.
Alla fine del secolo risale la Cappella Sforza eseguita su disegno di Michelangelo Buonarroti.
Nel giugno 1605 papa Paolo V Borghese decise di edificare in basilica la cappella di famiglia, a croce greca e delle dimensioni di una piccola chiesa. La parte architettonica venne affidata a Flaminio Ponzio, vincolato nella pianta dalla speculare cappella di papa Sisto V. Completata la struttura nel 1611, la parte decorativa, con marmi colorati, ori e pietre preziose, venne terminata alla fine del 1616. Alle Pareti laterali sono poste le due tombe dei papi Clemente VIII e Paolo V, racchiuse in un'architettura ad arco trionfale con al centro la loro statua e bassorilievi pittorici.
La parte scultorea venne realizzata tra il 1608 e il 1615 da un eterogeneo gruppo di artisti: Silla Longhi, che ebbe la parte maggiore del lavoro realizzando le due statue papali, Ambrogio Buonvicino, Giovanni Antonio Paracca detto il Valsoldo, Cristoforo Stati, Nicolas Cordier, Ippolito Buzio, Camillo Mariani, Pietro Bernini, Stefano Maderno e Francesco Mochi.
La direzione del lavoro pittorico venne affidata al Cavalier d'Arpino che realizzò i pennacchi della cupola e la lunetta sopra l'altare. Ludovico Cigoli realizzò la cupola mentre Guido Reni fu l'autore principale delle singole figure di santi alle quali posero mano anche il Passignano, Giovanni Baglione e Baldassare Croce; successivamente il Lanfranco, secondo il Bellori, intervenne trasformando un angelo nella Vergine.
Sull'altare della cappella è l'icona della Salus populi romani, immagine dipinta della Vergine del tipo romano orientalizzante (secoli XII-XIII)[14].
L'esterno dell'abside, rivolto verso piazza dell'Esquilino, è opera di Carlo Rainaldi, che presentò a papa Clemente IX un progetto meno dispendioso di quello del contemporaneo Gian Lorenzo Bernini. Questo avrebbe fra l'altro comportato la distruzione dei mosaici dell'abside, che nel nuovo assetto sarebbe arrivata quasi all'altezza dell'obelisco retrostante.
Tra i monumenti sepolcrali si annovera quello di Giovan Pietro Moretti, eseguito dal 1647 al 1649 su disegno di Domenico de Rossi dal maestro scalpellino Alessandro Montonese.
Gli ultimi interventi di grande rilievo sull'esterno della basilica furono realizzati durante il pontificato di Benedetto XIV, che commissionò a Ferdinando Fuga il rifacimento della facciata principale, caratterizzata da un portico e da una loggia per le benedizioni, che fu eseguito tra il 1741 e il 1743. Al Fuga si deve anche il baldacchino della confessione, eretto su colonne di porfido.
La Confessione sotto l'altar maggiore fu voluta da papa Pio IX e realizzata da Virginio Vespignani. Qui, in un reliquiario di cristallo realizzato da Luigi Valadier sono state riposte le reliquie della culla della natività.
La Sagrestia dei Canonici e l'Aula Capitolare furono restaurate sotto la direzione dell'architetto del Capitolo Giovanni Battista Benedetti tra il 1863 e il 1864.
Vennero fatte modellare le porte centrali della Basilica da Ludovico Pogliaghi e fatte fondere dalla Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli di Firenze
Risale poi al 2001 la benedizione da parte di papa Giovanni Paolo II della Porta Santa, opera dello scultore contemporaneo Luigi Enzo Mattei[15].
Il 5 agosto 2006, anniversario della fondazione della basilica, veniva inaugurata da parte del cardinale Bernard Francis Law la Porta del Rosario creata dallo scultore bergamasco Mario Toffetti.[16]
In Santa Maria Maggiore è sepolto Gian Lorenzo Bernini, nella tomba di famiglia.
Nel museo della basilica di Santa Maria Maggiore è attualmente conservata l'opera scultorea che per tanto tempo è stata considerata il presepio più antico fatto con statue. Si tratta di un'Adorazione dei Magi in pietra, comprensiva delle parziali figure del bue e dell'asino.
Tuttavia un'attenta osservazione dei gruppi scultorei denota che in realtà non si tratta di vere statue a tutto tondo, bensì di altorilievi scolpiti da blocchi di pietra, il cui dorso è visibilmente rimasto piatto, eccettuata la figura del Mago inginocchiato, che risulta essere stata completata successivamente a tutto tondo (cioè scolpendo anche il dorso) da un autore successivo ad Arnolfo di Cambio, così come è accaduto alla figura della Vergine col Bambino, che non è l'originale scolpita da Arnolfo. Le più recenti indagini, infatti, hanno evidenziato che essa sarebbe stata modificata in epoca rinascimentale, scolpendo e modificando la figura originale della Vergine di Arnolfo[17].
Fu il papa Niccolò IV che nel 1288 commissionò ad Arnolfo di Cambio una raffigurazione della "Natività", che egli terminò di scolpire in pietra nel 1292. La tradizione di questa rappresentazione sacra ha origini sin dal 432 quando papa Sisto III (432-440) creò nella primitiva basilica una "grotta della Natività" simile a Betlemme. La basilica prese la denominazione di Santa Maria ad praesepem (dal latino: praesepium = mangiatoia)[18]. I numerosi pellegrini che tornavano a Roma dalla Terra santa, portarono in dono preziosi frammenti del legno della Sacra Culla (cunabulum) oggi custoditi nella teca dorata della Confessione[19].
Dopo una chiusura operata dal 2017, il giorno 7 marzo 2022 sono riprese le visite presso la Loggia delle Benedizioni, la Sala dei Papi e annessa la Scala del Bernini, grazie a nuovo personale interno della Basilica tratto dalla Fraternitas del Capitolo, così che i suddetti ambienti sono divenuti parte di un percorso definito in un nuovo assetto del Museo quale Polo Museale Liberiano, sotto la guida di un nuovo direttore.
Tra il 1966 e il 1971, per risolvere problemi di umidità, venne effettuata una campagna di scavi sotto il pavimento della basilica, condotta esclusivamente lungo le navate laterali. Rimosso l'interro che li colmava, vennero rinvenuti numerosi ambienti di II e III secolo, attualmente musealizzati ed accessibili dal museo della basilica.
Il complesso, sulla cui destinazione originaria sono state fatte varie ipotesi, ma nulla che avesse attinenza con la basilica liberiana, si presume privato e quindi non da identificare con il Macellum Liviae, nelle cui prossimità le fonti attestano la primitiva basilica liberiana. Esso si compone di molti ambienti articolati attorno ad un vasto cortile, a vari livelli e di non facile interpretazione, anche perché ascrivibili a diversi periodi e variamente obliterati da successive murature realizzate in tempi diversi. Lungo il percorso si incontrano: tracce di un piccolo stabilimento termale, con mosaici e intercapedini per il riscaldamento; l'esposizione delle tegole antiche; tracce ben conservate di affreschi geometrici decorativi; tracce di affreschi relativi ad un calendario agricolo (che costituiscono forse il reperto più noto del sito); un piccolo ambiente semicircolare con nicchie, resti di affreschi e di un pavimento in opus sectile su suspensura, presumibilmente pertinente all'impianto termale.
Nella basilica si trovano cinque organi a canne:
La basilica di Santa Maria Maggiore ospita al proprio interno le sepolture di diversi pontefici:[22]
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È raggiungibile dalla fermata Napoleone III | del tram 5 |
È raggiungibile dalla fermata Napoleone III | del tram 14 |
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